Cresce l’utilizzo di Temporary Manager part time in Italia, scopriamo il perché

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Cresce l’utilizzo di Temporary Manager part time in Italia, scopriamo il perché

Le PMI italiane utilizzano sempre più di frequente il Temporary Management per aumentare la qualità del management e, allo stesso tempo, ridurre i costi.

 

E’ normale che in momenti di grande discontinuità, e purtroppo per molti di grandi difficoltà, le aziende che incontrino i problemi più gravi siano proprio quelle che soffrono strutturalmente, per dimensioni e storia, della carenza di un management all’altezza delle sfide. Le PMI italiane si trovano in molti casi in una situazione di questo tipo e, sempre più frequentemente, tendono ad affidarsi a un Temporary Manager, un professionista competente ed esperto, in grado di intervenire per riorganizzare e rilanciare l’azienda in un periodo di tempo limitato e, allo stesso tempo, formare ed elevare la qualità del management interno. Gli imprenditori si garantiscono così l’apporto nell’organigramma di risorse estremamente qualificate, pur mantenendo una grande flessibilità e contenendo i costi, elementi cruciali per la sopravvivenza dell’impresa, in una contingenza incerta come quella che stiamo attraversando da qualche tempo e che prolungherà i suoi effetti a lungo.

Un quadro confermato dall’indagine promossa da Inima, network internazionale che raggruppa le associazioni di temporary manager in Europa – condotta su 750 professionisti ad Interim, a inizio anno (gennaio 2021).

La ricerca mostra che ben il 41% degli Interim Manager italiani intervistati risulta occupato con un contratto part-time, dato nettamente superiore alla media europea (22%) e a paesi come la Germania (13%) e la Francia (14%). Se aggiungiamo che il 60% degli Interim Manager nel nostro paese sono impiegati in aziende con meno di 100 dipendenti, contro il 31% della media europea, il 9% della Germania e il 31% della Francia, ricaviamo una fotografia dell’impiego dei Temporary Manager in Italia che è sempre più orientato a un incarico part time in una PMI.

“Il dato che emerge nell’indagine promossa da Inima a livello europeo”, afferma Jonathan Selby, presidente di Inima e consigliere di Leading Network, l’Associazione Italiana dei Temporary Manager, “è che sempre di più l’utilizzo dei manager va verso un aumento della flessibilità. Ma mentre nel nord Europa questo si concretizza in una riduzione dei tempi degli incarichi, che sono in prevalenza full time, in Italia si registra un progressivo aumento delle missioni di Temporary management part-time, che ormai hanno superato il numero di quelle full-time”.

Il profilo professionale del Temporary Manager in Italia non si discosta molto da quello europeo: è un manager di 56 anni (in linea con l’Europa), i Temporary Manager più giovani sono in Austria e Polonia, dove la media è di 49 anni. Ha maturato un’esperienza di 6,5 anni come professionista ad interim, ricoprendo ruoli da Top manager, C-level o superiore. Significa che la gran parte dei Temporary italiani ha intrapreso questa professione dopo una lunga carriera aziendale che lo ha portato a ricoprire con successo ruoli apicali.

La durata media di un incarico a tempo in Europa è di 11,4 mesi, mentre in Italia è di 14,4 mesi, anzi alcuni estendono la loro durata a oltre 2 anni, soprattutto utilizzando la formula part-time. Dalla ricerca emerge la prevalenza nel nostro paese degli incarichi di business development, aiutati anche dagli incentivi statali. 

I Temporary Manager, in Italia e in Europa, sono chiamati soprattutto per la Gestione del cambiamento, indicata come attività prevalente dal 15% degli intervistati. Da noi i C-Level rappresentano la percentuale maggiore, ben il 72%, rispetto al 56% della media europea e valori in linea con la media europea in Francia e Germania.

L’industria privata rappresenta il 90% degli incarichi temporanei in Europa; da registrare che in Italia il settore pubblico e non profit rappresenta solo il 2% (ultimo tra tutti i paesi). Tra i settori principali di attività, il Bel Paese si distingue per la percentuale più alta nella Metalmeccanica (35%), contro una media europea dell’11%.

La notizia che colpisce di più gli operatori del settore come TIM Management è che il canale prevalente di ricerca e reclutamento dei Temporary Manager europei è largamente il network personale dell’imprenditore e / o dei suoi advisor con il 48% degli incarichi, seguito, ma a buona distanza, dalle società di Interim Management con il 24%; dati confermati dal mercato italiano con, rispettivamente il 41% e solo il 17% per le società di Interim Management.  E’ una tendenza al fai da te che potrebbe penalizzare lo sviluppo di un’offerta selezionata e di alto livello manageriale, senza trascurare il fatto che chi si propone come un operatore specializzato ha un network ampio e qualificato da cui identificare e selezionare la risorsa più in linea con le esigenze dell’imprenditore, che può altresì ottenere una flessibilità maggiore nell’utilizzo della risorsa e nella durata dell’incarico. 

Un ultimo dato legato alla domanda di Temporary Manager è quella della tariffa giornaliera media che in Italia è di 674 euro al giorno, siamo uno dei paesi con il costo più basso; un valore nettamente inferiore alla Svizzera (1.385 euro) e alla Germania (1.198 euro), ma anche a Francia (1.048 euro) e UK (873 euro); una valorizzazione inferiore che è per un verso legata al mercato del lavoro ma che sconta pesantemente il profilo dimensionale medio delle aziende clienti che è nettamente inferiore a quello estero.

 

SCARICA il report completo della Survey 2021 sull Interim Management europeo di INIMA 

Domenico Costa è uno dei fondatori di TIM Management, dove si è occupato di diversi e numerosi interventi di ristrutturazione aziendale. Durante la sua carriera ha operato come Advisor di fondi e come Amministratore Delegato di importanti realtà industriali. Ha gestito acquisizioni di Aziende in diversi settori industriali.. 

 

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo, che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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Nuove professioni digitali: quando e perché è meglio affidarsi a un Interim Manager

Con l’incedere sempre più rapido della digital transformation, alcune professioni sono scomparse, mentre molte altre si sono dovute adattare, modificando in maniera significativa il loro contenuto e la loro operatività.

L’ascesa dei Social Network, del Social Media Marketing e, più recentemente, del Social Selling; il Cloud sempre più universalmente adottato dalle aziende; l’utilizzo di Analytics e dei big data per il controllo di gestione e lo sviluppo dei mercati e le modalità di sviluppo dei progetti Agile sono tutti fattori, sempre più pervasivi, che stanno generando nuove professionalità al 100% digitali; sono job che richiedono competenze specifiche e sofisticate che raramente si possono trovare all’interno delle organizzazioni aziendali. La presenza di manager competenti ed esperti è diventata rapidamente un’esigenza sempre più cruciale per il futuro delle aziende e il loro sviluppo e costituisce una nuova opportunità molto indicata per l’inserimento di Interim Manager qualificati.

Questo è ancora più valido per aziende tradizionali e con una struttura manageriale orientata alla gestione del business esistente; la digital transformation per queste aziende sta creando un contesto inedito, sconosciuto e potenzialmente dirompente.

L’ambiente digitale implica la crescita di aree di conoscenza e sperimentazione inesplorate all’interno dell’azienda; sono cambiamenti spesso realmente dirompenti per lo status quo, che possono creare uno stato d’animo di insicurezza e confusione nel management, che viene messo di fronte alla necessità di virare verso una nuova organizzazione del lavoro che sia sempre più reattiva e flessibile, con contenuti a loro pressoché sconosciuti. 

Ma è un passaggio inevitabile! Oggi, più che mai, la trasformazione digitale è un fattore determinante per la sopravvivenza dell’azienda in un mondo particolarmente competitivo, sia sul mercato locale che su quello globale. Si può certamente sostenere che la trasformazione digitale dell’azienda non significa solo per l’azienda acquisire nuovi strumenti, ma anche e soprattutto creare e inserire nuove professioni digitali all’interno dell’organizzazione.

 

L’emergere di nuove professioni

Questa necessità imperativa di trasformazione e riorganizzazione dell’organizzazione aziendale ha portato all’emergere di nuove professioni al 100% digitali come ad esempio:

 

Il Chief Digital Officer o Direttore della strategia digitale, è un C-Level che supporta e guida l’azienda nell’adozione di modelli di business basati sul digitale, con l’obiettivo di conseguire una maggiore efficienza, un controllo più efficace e pervasivo dei risultati e delle performance, basato sull’analisi dei dati e l’ottimizzazione dei processi operativi e gestionali. Molto spesso i suoi compiti principali sono l’implementazione di un e-commerce efficace, in affiancamento ai canali di vendita tradizionali, e la gestione delle digital properties aziendali (sito, pagine social, canali di e-commerce, digital PR, content media) e dell’acquisizione di nuovi clienti attraverso l’utilizzo di digital marketing, social media marketing e inbound marketing.

 

Il Chief Data Officer è responsabile dell’identificazione, della raccolta e dello sfruttamento dei dati generati dai sistemi di monitoraggio e analisi delle performance. Sono sistemi complessi, gestiti internamente all’azienda, che partecipano (e migliorano) attivamente al suo funzionamento e alle catene produttive (ad esempio l’adozione di robot negli stabilimenti produttivi, i sistemi automatizzati di analisi e visualizzazione dei dati che migliorano i flussi di acquisto o il controllo di gestione, ecc.) La sua responsabilità si estende ai sistemi di monitoraggio e feedback dei dati, integrati nei prodotti forniti al cliente finale (contatori, IoT, black box, internet of things etc.).

 

Il Chief Security Officer è il responsabile della sicurezza informatica dell’azienda; i servizi offerti e le piattaforme di comunicazione con il cliente sono necessariamente sempre più connessi alla rete e, per questo motivo, rappresentano potenzialmente un pericolo per i sistemi aziendali, dato che  possono offrire porte di ingresso a persone o organizzazioni malintenzionate. Il CSO organizza la sicurezza ed è responsabile dell’educazione digitale di tutta l’organizzazione, interna ed esterna, collegata all’azienda. Si tratta di promuovere comportamenti e attitudini volte alla massima prudenza nell’utilizzo dei sistemi informatici e dei software aziendali e all’aggiornamento continuo di tutti gli operatori coinvolti.

 

Il Cloud Architect deve definire e gestire l’architettura dei sistemi informativi, tenendo conto delle possibilità sempre più evolute, offerte dai  servizi tecnologici di Public Cloud (AWS, ARUBA, AZURE, Microsoft etc.), Private Cloud e On-Premise (on-site), in modo che ogni applicazione possa operare in continuità, con la massima efficienza e sicurezza, tenendo conto dei suoi vincoli tecnici, di vulnerabilità e di necessaria disponibilità per gli utilizzatori.

 

Il Technical Support Leader si occupa di guidare lo sviluppo dei progetti aziendali in modalità Agile garantendo il corretto funzionamento e utilizzo degli strumenti necessari allo sviluppo in parallelo di micro-servizi; deve garantire che le migliori pratiche di “DevSecOps development + security + operations ” siano applicate da tutti gli attori coinvolti nello sviluppo, in modo da garantire sempre che ognuno si assuma pienamente la responsabilità di sviluppare applicazioni operative, efficienti e sicure, nei tempi concordati.

 

L’Interim Manager: un modo smart per l’imprenditore di guidare la trasformazione digitale

Di fronte alle sfide poste all’imprenditore e al suo management dalla trasformazione digitale, l’Interim Management  si può rivelare una risorsa estremamente preziosa per l’azienda. E questo perché una risorsa esperta può supportare e guidare l’organizzazione verso la digital transformation senza richiedere investimenti importanti, e potenzialmente rischiosi, in management permanente o attività di consulenza esterna:

 

  • Aiutando a ripensare l’organizzazione dell’azienda su nuovi parametri e processi, basati su data mining, implementazione cloud e sviluppo Agile, il tutto con estrema competenza e professionalità, sviluppata nelle sue esperienze precedenti.
  • Accompagnando la scelta delle piattaforme e dei software più adatti a semplificare i processi e la gestione del cambiamento, senza il rischio di perdersi nel labirinto digitale di un’offerta sconfinata. 
  • Collaborando serenamente con la direzione e con tutti i reparti, sia funzionali che operativi, non essendo in competizione con il management ma orientato al risultato.
  • Infine, assicurando che tutti i “poli” dell’azienda siano coinvolti nell’adozione e nell’implementazione del nuovo paradigma ‘digital’, elevando al tempo stesso le competenze del management interno che, alla fine del suo incarico, sarà meglio attrezzato per gestire il cambiamento e guidare lo sviluppo .

 

Nuove professioni per nuove ambizioni

Il ruolo di un Interim Manager diventa essenziale quando l’azienda decide di approcciare seriamente la trasformazione digitale, rendendosi conto che sta intraprendendo una riorganizzazione globale, e, molto spesso, adottando una nuova visione e definendo nuovi obiettivi a medio termine. 

L’obiettivo fondamentale è sempre quello di avvicinarsi di più ai propri clienti, conoscendone a fondo i desideri e le aspettative, e implementare nuovi canali di ingaggio e comunicazione con loro.

Affidandosi alle competenze tecniche e gestionali di un Interim Manager specializzato nelle nuove professioni digital, l’azienda si porta in casa competenze preziose e, al tempo stesso, una visione fresca, neutra, totalmente oggettiva, che le consente un salto di qualità nel mondo digitale, al servizio dei clienti e del successo duraturo dell’impresa.

 

“Niente è permanente tranne il cambiamento” disse molto tempo fa Eraclito, una massima che qualsiasi Transition Manager potrebbe usare, a maggior ragione chi si occupa di digital.

Domenico Costa è uno dei fondatori di TIM Management, dove si è occupato di diversi e numerosi interventi di ristrutturazione aziendale. Durante la sua carriera ha operato come Advisor di fondi e come Amministratore Delegato di importanti realtà industriali. Ha gestito acquisizioni di Aziende in diversi settori industriali.. 

 

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo, che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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Risanare le imprese in difficoltà dal piano industriale al turnaround

Una tra le cose più importanti per raggiungere e conservare  il successo di un’impresa è il saper valutare lo stato di salute dell’azienda e individuare rapidamente quali sono le aree e le funzioni su cui intervenire con la massima priorità.

Come per le persone, anche per le aziende è fondamentale sottoporsi a un “check up” periodico, soprattutto in momenti come quelli che stiamo affrontando, caratterizzati da forte discontinuità e andamento di mercato poco prevedibile. 

Se la propria impresa entra in crisi, e questo recentemente accade sempre più spesso, bisogna adottare velocemente un piano di risanamento aziendale e dotarsi di tutte le risorse necessaria ad affrontare con successo la situazione.

ll turnaround spesso implica una vera e propria ristrutturazione aziendale e deve essere sempre accompagnato da un’attenta analisi dei punti di forza e debolezza, per capire dove e come intervenire e quali sono le priorità degli interventi. Consiste nel risanamento dell’impresa e nella ristrutturazione dei suoi debiti, attraverso l’attuazione di un insieme di azioni gestionali volte ad arrestare il declino dell’azienda. Bisogna innanzitutto valutare l’opportunità̀ del turnaround  analizzando con attenzione e profondità performance del periodo precedente, cercando di indentificare i driver per migliorarle:

  1. diagnosi prima fase
  2. individuazione dei sintomi della crisi
  3. diagnosi seconda fase
  4. scelta della strategia (turnaround)

Una prima fase di diagnosi consiste nell’individuazione delle cause principali della crisi:

– analisi della situazione economico-finanziaria

– scelta dei clienti sui quali investire (vecchi/nuovi) 

– costi da sostenere per strappare i clienti ai rivali

 

Successivamente si procede ad analizzare i sintomi della crisi, quali:

  • Rapida diminuzione dei profitti operativi
  • Riduzione notevole della liquidità
  • Riduzione delle quote di mercato da 12-24 mesi
  • Demotivazione dei collaboratori
  • Abbandono dei manager migliori
  • Peggioramento qualità dei prodotti
  • Aumento delle scorte
  • Contrazione della R&S, del lancio di nuovi prodotti e delle spese di marketing
  • Capacità operativa utilizzata meno del 60%

 

In una seconda fase di diagnosi ci si impegna a valutare:

  1. le condizioni del settore (redditività, attrattività) 
  2. la capacità di rilancio dell’impresa

 

Per concludere infine con la scelta della strategia di turnaround. 

Le fasi e i alcuni dei principi applicabili alle situazioni di turnaround sono:

  • “Fermare l’emorragia”: ad esempio cogliere i vantaggi immediati derivanti dalla cessazione di una produzione o di una linea di prodotti che perde significativamente fatturato o brucia cash flow velocemente.
  • Cash management: per il controllo del cash flow è importante che le spese di un certo ammontare siano autorizzate dal responsabile del turnaround.
  • Accumulare dati: raccogliere informazioni e attivare un sistema articolato per il monitoraggio dei KPI principali.
  • Stabilire chi guida: scegliere se introdurre una nuova leadership o consentire a chi ha subito il declino di mantenere la guida, riorientandone i comportamenti.
  • Valutare la capacità operativa: ovvero porsi due domande fondamentali sull’innovazione, necessarie per attivare la possibilità di per rilanciare i ricavi con nuovi prodotti:
  • a)  la capacità produttiva è adeguatamente utilizzata o c’è ancora
    spazio per nuovi prodotti?
  • b)  se c’è, come implementare la produzione dei nuovi prodotti senza intaccare l’operatività degli esistenti?
  • Se le risposte sono positive si può decidere di aumentare il fatturato e auspicabilmente la redditività̀ con un investimento minimo tramite nello sviluppo di nuovi prodotti

 

Il processo di turnaround si deve avviare solo nel convincimento che il settore non sia condannato a un declino inesorabile, oppure che, anche in una fase di declino, l’impresa possa conquistare quote di mercato e mantenere comunque una buona redditività̀.

 

Il turnaround deve garantire un recupero sostenibile nel tempo, che può essere stabilito sulla base delle seguenti considerazioni:

 

  • L’azienda è in grado di generare nel tempo un livello di redditività adeguata e sostenibile.
  • L’azienda si è posizionata, o ha posto le premesse per farlo, con un vantaggio competitivo difendibile, o di portafoglio prodotti, o con una struttura di costi di produzione o teconlogie proprietarie, tali da impedire l’accesso alla concorrenza a prezzi competitivi, o, infine, di barriere all’entrata basate su economie di scala.
  • L’azienda presenta una strategia difendibile e realistica, assistita da un management competente ed esperto.

L’intervento di turnaround è un processo altamente strutturato che deve tenere in considerazione i complessi rapporti con gli stakeholders interni ed esterni all’azienda in crisi, con l’obiettivo di:

  • Assicurare una continuità a breve termine del business.
  • Intervenire sui fattori critici strutturali e non solo sui loro sintomi più evidenti.
  • Procedere con approccio sufficientemente olistico e cioè tale da risolvere le aree problematiche per quanto possibile in maniera coerente tra di loro.
  • Porre le basi per un veloce recupero di una situazione economica sostenibile per l’azienda e per il successivo rilancio competitivo.

 

Considerando che, come evidenziato in una ricerca di Gething, l’84% delle aziende in crisi dimostra di avere un management inadeguato, e che questo è un fattore ancora più critico per le aziende di dimensioni limitate e operanti nei settori tradizionali, un turnaround di successo dovrebbe prevedere, nella stragrande maggioranza dei casi l’intervento di un Turnaround Manager (TM) con esperienza specifica di gestione della crisi. Molto spesso al Turnaround Manager è opportuno affiancare una squadra di Interim Manager per le funzioni chiave, che aiutino a gestire rapidamente la crisi e ad adeguare le competenze del management interno dell’azienda. 

TIM Management affianca gli imprenditori italiani da più di trent’anni, supportando la crescita aziendale e aiutando l’organizzazione a gestire il cambiamento.