Trasformazione aziendale: una sfida sempre più grande. Quale ruolo per il CEO?

Un Amministratore Delegato non può abbassare la guardia in nessun momento della vita aziendale, ma, nelle fasi di grande cambiamento, questa esigenza assume valenze ancora maggiori.

Trasformazione aziendale: una sfida sempre più grande. Quale ruolo per il CEO?

Un Amministratore Delegato non può abbassare la guardia in nessun momento della vita aziendale, ma, nelle fasi di grande cambiamento, questa esigenza assume valenze ancora maggiori. Il Management, specialmente il CEO, deve infatti saper attivare la capacità di adattamento dell’azienda ad un contesto in rapido mutamento. 

Il susseguirsi di eventi – dalla pandemia al conflitto Russia-Ucraina, passando per l’evoluzione del mercato del lavoro e i problemi delle catene di approvvigionamento – che hanno mutato profondamente il contesto in cui le imprese operano, ha dimostrato come la maggior parte delle aziende debbano saper agire rapidamente, per adattarsi a questi continui cambiamenti.

Tuttavia, la partecipazione attiva dei CEO e dei leader aziendali al processo di trasformazione delle imprese, secondo una ricerca di Boston Consulting Group, sembrerebbe in diminuzione, proseguendo un preoccupante trend già registrato negli ultimi anni. La buona notizia è che è ancora possibile gestire con successo le trasformazioni necessarie ad affrontare l’attuale contesto, a condizione però che i leader vengano rimessi al centro del processo – e siano consapevoli della loro centralità – concentrandosi sugli obiettivi a medio-lungo termine.

 

L’impatto di 3 megatrend sulla trasformazione

L’adozione dell’intelligenza artificiale, gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile, specialmente a livello europeo, e il lavoro ibrido hanno senz’altro reso ancora più complesso il percorso di trasformazione delle aziende. La prima domanda da porsi è quali siano le capacità interne dell’azienda, che competenze siano disponibili nell’organizzazione e quanto le figure di riferimento siano preparate ad affrontare le opportunità e le sfide che questi cambiamenti presentano.

 

“Le aziende più orientate al futuro, con grandi capacità di resilienza e con forte consapevolezza del contesto competitivo e congiunturale, capiscono il potenziale di sviluppo insito nei cambiamenti in atto, seminando oggi ciò che si andrà a raccogliere in futuro. Ma cosa succede quando questo non accade?”

 

Sempre secondo Boston Consulting Group (BCG), solo la metà delle imprese (52%) ha valutato la propria capacità di rispondere alle sfide proposte dai megatrend in corso come adeguata, mentre un terzo (29%) riconosce il proprio ruolo di c.d. “laggard” (letteralmente “ritardatario”). Se un’azienda non investe nella propria capacità di adattamento, se non sviluppa l’agilità necessaria a sfruttare il cambiamento, mostrando incapacità di reazione e passività, deve, nella migliore delle ipotesi, rassegnarsi a uscire lentamente dal mercato, mentre, nello scenario peggiore, può essere rapidamente spinta sull’orlo del baratro da aziende più moderne, meglio organizzate e più reattive.

Un CEO con le giuste capacità si preoccupa di mettere a disposizione dell’azienda gli strumenti e le capacità necessarie per avere successo, in circostanze mutevoli e sfidanti.

Le conseguenze della pandemia non sono finite

Lo studio di BCG ha analizzato cinque aree di riferimento per il successo aziendale: la realizzazione del valore, il costo per raggiungerlo, la durata, il coinvolgimento dei leader e l’adesione dei dipendenti. Nel complesso, i risultati hanno mostrato che in tutte e cinque le dimensioni, le prestazioni sono peggiorate rispetto a prima della pandemia, un trend che è emerso per la prima volta nei risultati dello scorso anno e sembra proseguire oggi, senza segnali di inversione.

Il valore realizzato a seguito di una trasformazione è diminuito significativamente, passando dal 73% nel 2020 al 45% nel 2022. Allo stesso modo, l’adesione dei dipendenti rimane bassa, mentre i costi in eccesso e i tempi di realizzazione dei programmi sono triplicati, con dati stabili negli ultimi due anni.

Ma la scoperta più significativa è la continua e persistente diminuzione del coinvolgimento dei CEO nel cambiamento. Sebbene il trend sia in fase di rallentamento, passando dal 53% nel 2020 al 38% nel 2022, il fatto che il coinvolgimento dei vertici aziendali continui a scendere è un fattore preoccupante.

 

“I CEO che non sanno cogliere la direzione in cui sta andando la propria azienda si dedicano maggiormente a priorità di breve periodo”. 

 

Il legame tra la riduzione del coinvolgimento dei leader e il calo dell’adesione dei dipendenti alla causa aziendale è un fatto consolidato, come chiarissima è la correlazione inversa: nelle organizzazioni di maggior successo, i leader guidano il cambiamento in tutte le aree e le funzioni e fungono da modello e guida, supportando i dipendenti nell’introduzione dei cambiamenti necessari alla trasformazione. Quando i leader non rispettano questo mandato, i dipendenti se ne interessano meno e le trasformazioni finiscono per non avere successo.

La pandemia ha radicalmente cambiato anche il modo in cui le persone si relazionano al cambiamento. In passato si trattava di fatti, risultati e orientamento, ora il focus si è spostato sui processi, sui sentimenti e sulle difficoltà stesse dei dipendenti a seguire l’evoluzione in atto. In questo contesto, i dati raccolti da BCG mostrano che, nonostante il continuo declino dell’engagement dei leader nelle trasformazioni, l’adesione degli impiegati sembra rimanere tutto sommato stabile. Una possibile spiegazione è che i CEO continuino a mostrare difficoltà nell’affrontare le nuove sfide dell’ambiente post-pandemico, mentre gli impiegati si rivelano più flessibili e pronti alle nuove modalità di lavoro, in sintesi, più resilienti.

5 strategie vincenti per il CEO impegnato a guidare il cambiamento

Le aziende dovrebbero coinvolgere nei processi di trasformazione i loro CEO, e dovrebbero farlo con ogni strumento a disposizione dei CdA.

Innanzitutto, riducendo il più possibile la complessità nelle relazioni e nei processi decisionali e, soprattutto, rendendo sempre chiari ed espliciti gli obiettivi aziendali.

Secondo la ricerca di BCG, possiamo individuare 3 elementi che permettono di distinguere tra imprese che dominano il cambiamento e imprese che lo subiscono:

  • Una visione e gestione olistica degli sforzi votati al cambiamento aziendale
  • Una leadership coerente
  • Un cambiamento che metta al centro le persone (dipendenti e manager)

Un approccio che sembra portare grandi risultati anche in termini commerciali.

1. Guidare con chiarezza e trasparenza

Non è raro che i leader fatichino a ridurre l’incertezza e fornire indicazioni chiare ai loro team. Alcuni rimangono in silenzio quando non sono sicuri della strada futura. Altri compensano troppo fornendo rassicurazioni inconsistenti o elaborando piani troppo dettagliati. Un buon CEO deve saper rimanere autentico e aperto, riconoscendo il cambiamento e l’incertezza, senza esserne paralizzato.

2. Implementare i cambiamenti passo dopo passo

Per garantire un impegno a lungo termine durante il processo di trasformazione, le organizzazioni dovrebbero saper articolare i piani di cambiamento a medio termine in cambiamenti più piccoli, realistici e raggiungibili. È necessario saper dare priorità alle iniziative più importanti, che affrontano le esigenze urgenti o generano miglioramenti rapidi, e programmare in un secondo momento quelle meno importanti e urgenti. Questo può richiedere anche una modifica della cultura aziendale, affinché i team che gestiscono iniziative meno prioritarie non vedano la situazione come una catastrofe che mette fine alla loro carriera, ma come un elemento integrante di una cultura d’agilità e orientamento al valore.

3. Assicurarsi che la leadership sia sulla stessa lunghezza d’onda

Con l’incertezza che impatta su tutti gli aspetti del business, è importante che il board investa molto tempo ed energia per assicurarsi che i leader abbiano ben chiari gli obiettivi e l’approccio della trasformazione. Spesso persino le figure Senior ritengono, erroneamente, di non dover rafforzare la comunicazione interna – anche ribadendo gli obiettivi nel tempo -,  seguendo il principio per cui, una volta trasferite le informazioni, queste resterebbero immutabili e interiorizzate dall’organizzazione.

In realtà, succede esattamente il contrario: in un ambiente aziendale in rapido cambiamento, rafforzare costantemente un messaggio, lo rende ancora più efficace – e perfezionarlo sulla base dei feedback continui dei leader in tutta l’organizzazione – è l’unico modo per garantire chiarezza e focus sulle giuste priorità.

4. Potenziare il fronte operativo

Le trasformazioni hanno successo o falliscono proprio sul piano operativo. Coinvolgere i leader, dotandoli di potere decisionale, consentendo loro di fornire indicazioni ai dipendenti in un contesto di incertezza, ascoltando e dando seguito ai loro feedback su ciò che sta funzionando e su ciò è migliorabile, è fondamentale per concentrare le attività e le energie dell’organizzazione sulle priorità e le aree di lavoro più importanti per il risultato complessivo.

5. Gestire abilmente il cambiamento

I dipendenti dovrebbero essere guidati nei processi di cambiamento e trasformazione, anche per evitare che siano essi stessi, magari in contrasto con gli interessi dell’azienda, a decidere autonomamente quali siano le decisioni e le aree di lavoro importanti e quali quelle meno importanti per la sorte dell’impresa. Questa scelta spetta al CEO, e in genere alle figure responsabili dell’andamento aziendale sedute nel board aziendale.

E’ fondamentale saper gestire il carico del cambiamento sull’organizzazione e identificare tempestivamente eventuali problematiche emergenti.

Il lato positivo del cambiamento nell’ambiente aziendale è la creazione di nuove opportunità per le aziende di differenziarsi e superare la concorrenza. Per farlo, ovviamente, i CEO devono rimanere coinvolti nel processo e concentrarsi sulle giuste priorità.

Con l’inserimento di un Interim CEO esperto, le aziende possono migliorare le loro possibilità di raggiungere risultati positivi nella trasformazione, capitalizzare le opportunità insite nel cambiamento e posizionarsi correttamente per ottenere successo e redditività a lungo termine.

TIM Management è pronta a offrire alle imprese il supporto di CEO interim che, grazie alla loro esperienza sviluppata in situazioni analoghe, e a competenze verticali sui settori di riferimento, possono facilitare l’implementazione di strategie vincenti e garantire il successo dell’impresa nel medio-lungo periodo, contribuendo anche a rafforzare le competenze manageriali e la leadership del board e dell’organizzazione.

Contattaci per garantire all’azienda il valore di una buona gestione della trasformazione.

Il Corporate Giving nell’era ESG – Atti del Webinar

Dall’inizio del nuovo secolo ad oggi il panorama del settore Non Profit (NP) in Italia è mutato profondamente, sia per la complessità delle sue strutture che per la sua dimensione, consolidando la propria rilevanza nello scenario socio-economico nazionale, come emerso con tutta evidenza durante l’emergenza Covid.

Una serie di indicatori conferma univocamente la rilevanza raggiunta e la crescita imponente del Non Profit nel nostro Paese:

  • Le organizzazioni italiane del comparto sono oltre 364 mila (+54% tra il 2001 e il 2020 – ultima rilevazione ISTAT disponibile);
  • Gli occupati sono quasi 900mila (+73%);
  • I volontari regolarmente al servizio di iniziative sociali sono 5,5 milioni (+72%).

Negli ultimi anni le tematiche sociali si sono avvicinate sempre di più al centro degli interessi anche del Mondo Corporate. Le aziende che investono in CSR sono passate dall’essere il 40% nel 2001 al 96% nel 2021, in parallelo con l’evoluzione del concetto di responsabilità d’impresa verso quello più ampio e articolato espresso dall’acronimo ESG, divenuto elemento ineludibile per la maggioranza delle aziende del nostro Paese. 

Dalle normative sono scaturiti nuovi obblighi, come nel caso della Dichiarazione Non Finanziaria (DNF), o opportunità di natura premiale, come i requisiti per partecipare alle gare pubbliche, a partire da quelle del PNRR, o per ottenere finanza a costi competitivi.

Tuttavia, mentre per i temi ambientali e per le tematiche relative alla governance il mondo corporate ha trovato velocemente spunti di applicazione e metriche di riferimento, l’ambito sociale è quello che vede spesso le imprese, non solo quelle di dimensioni minori, muoversi con difficoltà nella definizione di una propria policy e nella ricerca di iniziative da sostenere.

Operare in campo sociale, viste la rilevanza e la complessità raggiunte dal Terzo Settore, impongono anche alle aziende italiane di muoversi, per i loro interventi nel sociale, con grande ponderazione, perché per “fare bene il bene” e realizzare vera innovazione sociale e impatto sostenibile nel lungo periodo non basta fare donazioni a caso.

Per questo motivo le imprese hanno bisogno di specifiche competenze e di professionalità, e di avvalersi dei servizi forniti da veri intermediari di filantropia, come Fondazione Donor Italia ETS (FD), che aiutano le aziende a formulare una propria strategia erogativa, a valle di un’analisi approfondita dell’attività economica svolta oltre che della valutazione del territorio e degli stakeholder di riferimento.

Uno strumento adottato da tempo e con particolare successo all’estero per realizzare donazioni in campo sociale sono i Donor Advised Fund (DAF), investimenti filantropici personalizzati, che FD aiuta le imprese ad effettuare e con cui gestisce per loro conto le iniziative sociali prescelte.

Sintesi intervento di Marcello Gallo, Presidente di Fondazione Donor Italia ETS, al Webinar TMI del 29 marzo 2023.

I dati citati durante l’intervento e sopra sono attinti dai seguenti studi: 

ISTAT – Struttura e profili del settore non profit, Anno 2020
Osservatorio Socialis, X Rapporto CSR, 2022
SDA Bocconi e Dynamo Academy, Corporate Social Investment e ESG, 2023
Fondazione Italia Sociale, Filantropia in Italia nel confronto internazionale, 2019

Compila il form per richiedere la presentazione completa.

Il valore di un buon management e gli effetti negativi di una leadership inadeguata

Quanto vale, per l’azienda, un manager con la M maiuscola? Prima di rispondere a questa domanda è necessario fare un passo indietro e riflettere su: quanto costa non averlo? E quanto impatta sul business? L’incertezza e l’incoerenza di tempi come quelli che stiamo vivendo attualmente non possono essere considerati fattori trascurabili per le decisioni aziendali.

Una prima considerazione potrebbe riguardare la capacità del leader di far crescere le persone che ha intorno. I modelli arcaici di gestione delle risorse – da superare, ma purtroppo ancora molto diffusi – sono stati costantemente caratterizzati dalla presenza di una leadership accentratrice, orientata alla semplice distribuzione di compiti specifici e comunque molto meccanici, il tutto orientato verso obiettivi di breve o al massimo medio termine.

Le condizioni attuali di mercato e contesto ci dicono in modo chiaro che un modello di managerialità virtuoso – e quindi efficace – deve necessariamente prendere in carico gli obiettivi a breve, medio e anche a lungo termine e lo deve fare gestendo il team e le attività in un’ottica di sviluppo strategico, che tenga conto delle persone guidate (dal leader), del loro potenziale e del loro benessere psicologico.

Una leadership, quindi, capace di costruire un mondo al quale le persone desiderino e decidano di appartenere. I motivi per farlo non risiedono in un eccesso di altruismo, si agisce così perché creare queste condizioni è la premessa necessaria per migliorare la produttività, attrarre e trattenere i talenti.

 

6 effetti negativi del micromanagement sul posto di lavoro

 

Secondo il Cambridge Dictionary, il micromanager è “colui che cerca di controllare ogni singolo aspetto di una situazione (in un modo che potrebbe non essere necessario), inclusi i minimi dettagli”.

Partendo da questa definizione, il termine micromanagement descrive uno stile di gestione che si basa sull’intervento massivo e sul controllo costante e pervasivo delle attività dei collaboratori, senza delegare le responsabilità.

In un moderno modello di management invece, ci si orienta verso un approccio strategico al raggiungimento degli obiettivi aziendali, accompagnato da un sincero interesse per il benessere e lo sviluppo del potenziale dei propri collaboratori.

Il micromanagement, al contrario, pur essendo motivato dal desiderio di garantire che il lavoro venga svolto correttamente, può portare a numerosi effetti negativi che si ripercuotono su tutta la struttura, sulla governance aziendale, sulla motivazione e sul morale dei dipendenti, limitando la loro autonomia e il loro sviluppo professionale.

 

1. Elevato turnover dei dipendenti

Il micromanagement è una delle principali cause di dimissioni dall’azienda poiché porta i dipendenti, esasperati, a cercare una via di fuga il prima possibile. Di conseguenza, si registra nel tempo un aumento dei costi di reclutamento e di assunzione, nonché una perdita continua di conoscenze e skill dovuta all’elevato turnover.

 

2. Perdita di fiducia

Praticato con continuità, il micromanagement può erodere la fiducia dei dipendenti nei confronti del loro manager di riferimento e dell’organizzazione aziendale stessa. In casi come questi, la professionalità e l’autonomia ne risentono, finendo per compromettere anche lo svolgimento degli incarichi più semplici.

 

3. Burnout dei manager

Il livello di controllo esercitato dal micromanagement è una lama a doppio taglio per i manager che lo praticano, poiché richiede di esaminare attentamente ogni singolo compito, non riuscendo a stabilire le priorità e a delegare in modo adeguato. Ciò può portare a frustrazione e sovraccarico di lavoro, che possono influenzare negativamente il management e le loro prestazioni.

 

4. Riduzione dell’impegno dei dipendenti

Il micromanagement soffoca il senso di autonomia dei dipendenti, riducendo la loro efficacia in azienda. Di conseguenza si riscontra una riduzione progressiva del loro impegno e della produttività aziendale.

 

5. Perdita del quadro generale

Questa gestione così dettagliata e diretta delle attività dei membri del team può portare i manager ad una eccessiva concentrazione sui dettagli, facendogli perdere di vista il quadro generale e il focus sulla strategia dell’organizzazione. Questa attenzione eccessiva genera una mancanza di creatività e innovazione all’interno del team, poiché i membri si sentono troppo limitati e controllati.

 

6. Dipendenza dal manager

L’ultimo, ma non per importanza, effetto collaterale del micromanagement è lo sviluppo di una malsana dipendenza dal manager, che porta i dipendenti a fare un affidamento eccessivo sulla guida del loro superiore anche per le attività più semplici e di routine.

Una sana leadership cerca non solo di creare un ambiente di lavoro accogliente e collaborativo, ma anche di ispirare i dipendenti a diventare parte di qualcosa di più grande di loro stessi. Questa non è un’idea utopistica, ma una premessa necessaria per migliorare la produttività, attrarre talenti e garantire l’impegno e la soddisfazione dei dipendenti.

 

Investire sullo sviluppo di un innovativo stile di management

 

Nell’ambito dell’attuale competitività del mercato, è essenziale che le aziende tengano in considerazione la propria reputazione per rimanere competitive.

I professionisti di successo cercano contesti lavorativi che siano in grado di valorizzare le loro competenze e capacità, promuovere lo sviluppo professionale e permettere di conciliare in maniera equilibrata il work-life balance.

In questa ricerca, utilizzano sistematicamente i propri network, le piattaforme social e i servizi di rating e ranking per valutare le opportunità offerte dal mercato. Quando si accorgono che le aziende non soddisfano i requisiti di base, le eliminano rapidamente dalla lista delle potenziali opportunità lavorative.

Le imprese sono nella maggioranza dei casi consapevoli della potenziale perdita di attratività sul mercato dovuta a una cattiva reputazione. Pertanto, chi desidera attirare i migliori professionisti presta attenzione alla propria reputazione, sia interna che esterna. In particolare, le aziende virtuose cercano di creare un ambiente di lavoro quanto possibile stimolante, rispettoso e inclusivo, in cui i dipendenti vengono trattati con equità e supportati nella loro crescita professionale. Così facendo potranno mantenere e migliorare la propria competitività e la propria reputazione aziendale, attirando i migliori talenti e, alla fine, consolidando la propria posizione competitiva nel settore.

In questo quadro, ogni componente dell’organizzazione riveste un ruolo cruciale nella creazione di un clima positivo, ovviamente con un impatto proporzionato al ruolo svolto in azienda. Il singolo può e deve assumersi la responsabilità del proprio lavoro e sfruttare al massimo gli strumenti a sua disposizione, per aumentare le proprie competenze e individuare le opportunità di sviluppo individuale.

Il manager ha l’onore e l’onere di gestire la propria squadra in modo efficiente, facendo in modo di massimizzare la produttività e il successo dell’organizzazione. Questo significa che il suo compito è quello di valutare il potenziale di ogni membro del team e valorizzarlo, in modo da promuovere un clima armonioso che favorisca il benessere dei dipendenti e, di conseguenza, lo sviluppo del business aziendale.

 

Le azioni concrete da intraprendere al fine di raggiungere una leadership innovativa

 

La creazione di un contesto aziendale positivo parte da un autentico interesse per le persone, riconoscendo il loro l’asset più importante dell’organizzazione. Per questo, è fondamentale conoscere a fondo i membri del proprio team in termini di competenze e potenzialità, comprendere ciò che li muove e individuare in anticipo eventuali frizioni che possono minare la loro motivazione. Per fare questo, non è possibile limitarsi a incontrarli durante i colloqui istituzionali di performance, ma è necessario dimostrare quotidianamente una chiara volontà di integrare la propria visione con quella degli altri, per creare una relazione di fiducia.

Per un manager, un approccio accogliente e diretto non consente solo di conoscere meglio la persona nelle sue modalità di operare, ma soprattutto permette di creare una relazione di fiducia, che andrà a costituire il valore più significativo e vantaggioso nel tempo.

 

L’effetto dirompente della pandemia sulle organizzazioni

 

In una situazione di cambiamento, spesso si tende a guardare a modelli passati come punti di riferimento per orientarsi. La pandemia ha rappresentato una trasformazione del tutto inedita e senza precedenti, priva di modelli a cui fare riferimento. Questo ha richiesto una serie di tentativi ed errori, con una costante calibrazione delle azioni da intraprendere, anche nel corso dello sviluppo della situazione.

Gli individui hanno sperimentato la trasformazione dei processi lavorativi e delle modalità di interazione, accompagnata da una profonda trasformazione nella percezione del mondo e di sé stessi. In un contesto simile, gli esseri umani tendono naturalmente verso ciò che percepiscono come certezza, come le relazioni basate sulla fiducia reciproca.

In momenti come questi, un Interim Manager può agire come un vero e proprio mentore all’interno dell’azienda e fornire una guida verso modelli di leadership adeguati e basati sulla fiducia reciproca, aspetto fondamentale per sviluppare la resilienza delle organizzazioni che possono in questo modo affrontare situazioni di profondo cambiamento e incertezza con maggiore coesione, sicurezza ed efficacia.

TIM Management è pronta a offrire alle PMI il supporto di Manager Interim esperti che, grazie alla loro esperienza di uomini d’azienda, sviluppata in situazioni analoghe, e a competenze verticali sui settori di riferimento, possono facilitare l’implementazione di una strategia vincente e garantire il successo dell’impresa nel medio-lungo periodo.

Contattaci per scoprire il valore di una buona leadership.