Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Un CdA con potere decisionale limitato non è mai una buona idea

Prima di formare, o anche mutare la composizione del Consiglio di Amministrazione, è essenziale stabilire il suo perimetro decisionale e le responsabilità dei membri. Un board competente, infatti, è capace di affrontare con successo tutte le sfide strategiche, ma il suo ruolo riesce a essere determinante solo se sono stati definiti, con chiarezza, ambiti e poteri.

Collaborare. È la parola d’ordine per attuare una strategia efficace per qualsiasi tipologia d’azienda.  E rendere la collaborazione quanto più efficace possibile deve essere un mantra per tutte le imprese, specialmente per quanto concerne i profili gestionali. Tuttavia, spesso, questa priorità rimane più un vuoto proclama che una realtà concreta e attuata, soprattutto per quanto riguarda il concreto impegno nel formare un board competente e in grado di agire con autonomia e tempestività.Un grave errore, che si rivela ancora più pesante e problematico quando si tratta di sviluppare nuovi prodotti o servizi, offrire soluzioni per ampliare la clientela o esplorare nuovi mercati, o magri quando si decide di porre l’accento sulla sostenibilità aziendale.

Ma quali sono le radici di questo problema? Alcuni ancora considerano imprescindibile la figura del leader solitario, accentratore di deleghe e decisioni, mentre, in altri casi, la composizione del consiglio è determinata da dinamiche relazionali che trascurano i principi fondamentali alla base di sistemi di governance veramente efficaci. Ciò che viene tralasciato – talvolta dimenticato, altre volte appositamente eluso – è che questo aspetto, cruciale soprattutto per le piccole e medie imprese, costituisce il prerequisito per affermarsi in mercati sempre più competitivi; oltre a rappresentare uno strumento di emancipazione culturale, strategica, organizzativa e operativa per le imprese a conduzione familiare che ambiscono – o vorrebbero ambire – a una crescita rapida. Un CdA inerte, scarsamente coinvolto nei processi, che svolga un ruolo prettamente formale, non è solo un’occasione persa, ma rischia di essere un freno alla crescita aziendale. Per molte imprese, il CdA ha un ruolo periferico: viene informato e tenuto al corrente (sempre successivamente) delle decisioni prese dagli azionisti e dalla direzione, e si ritrova ad avere un ruolo decisionale relegato a mere approvazioni formali, e, al massimo, di richiamo e monito, verso coloro che le decisioni le hanno prese in modo pratico, sui possibili rischi a esse associati.

L’importanza strategica del CdA

L’unico modo di cambiare prospettiva è comprendere l’importanza strategica e operativa che riveste il CdA, ma questa presa di coscienza spetta all’azionista di maggioranza, la cui determinazione a compiere un balzo in avanti in questo ambito, deve essere frutto di un’audacia intellettuale non comune (quantomeno nello scenario aziendale italiano). Un atto di consapevolezza che porterebbe vantaggi per tutti, poiché un board efficace può contribuire in modo significativo ad affrontare con successo le questioni più intricate, incidendo sia su temi strutturali che su ambiti più operativi. Questo, ovviamente, a condizione che vengano precisamente definiti i campi di intervento e le competenze del board stesso e dei suoi membri. Prima ancora di costruire un team, o anche di rimpiazzarlo, è essenziale tracciare i confini entro cui il board dovrebbe operare (cercando di renderli quanto più estesi possibile), e quindi, in particolare: 

  • Quali argomenti possono e devono essere trattati dall’organo direttivo
  • Quali decisioni rientrano nella sua esclusiva competenza e quali sono di competenza mista con altri organi
  • Quali responsabilità sono esclusive del board e quali sono diffuse 
  • Che metodologia di giudizio e decisione utilizzare, in base alle questioni affrontate 
  • Che regole e processi seguire 

Una volta definiti questi aspetti è possibile – ed è senz’altro più corretto – identificare i professionisti che possiedono le qualità e l’esperienza necessarie per costruire un CdA competente, efficace, solido. 

È ovvio che se un’azienda si pone come obiettivo principale quello di potenziare l’efficacia del sistema di governance aziendale, il Consiglio di Amministrazione non potrà riunirsi soltanto quattro volte all’anno, come peraltro spesso accade. Il board dovrà essere attivo e dinamico, con una frequenza di riunioni ben maggiore, poiché sarà chiamato a contribuire attivamente al raggiungimento degli obiettivi strategici.

Il ruolo del Consiglio e gli obiettivi strategici 

Una volta definito questo perimetro, ci si potrà porre la domanda: quali sono gli obiettivi strategici da perseguire attraverso un board qualificato? Primo fra tutti, disegnare e attuare un piano d’azione per raggiungere una crescita sostenibile, specialmente in mercati stagnanti; il che equivale all’applicazione di strategie che portino l’azienda ad acquisire terreno nei confronti dei competitor. Il secondo obiettivo, in molti casi, dovrà essere quello di attuare un’espansione a livello internazionale, o quantomeno ragionare sulla possibilità di farlo, migliorando (o anche creando) la presenza dell’azienda su mercati esteri: e questo evitando di portare avanti delle micro strategie che tendono a tradursi in attività a singhiozzo, sia a livello industriale che commerciale. Terzo, ma non meno rilevante, obiettivo, è quello di individuare e sfruttare le opportunità di efficientamento operativo: attraverso una profonda revisione dei costi , attuando una verifica della qualità dei prodotti e servizi offerti, e ovviamente dei processi di innovazione, mantenendo sempre un costante contatto con la clientela e raccogliendo feedback. Da non tralasciare in questo contesto, la determinazione di puntare ad una reale sostenibilità: non solo aziendale, ma anche etico-sociale, che porti l’azienda a rappresentare un modello virtuoso, caratterizzato da regole, comportamenti e processi allineati al ruolo che l’impresa svolge nella sua comunità di riferimento e per gli stakeholders. 

Una volta stabiliti gli obiettivi, si potrà porre il tema di quali siano le responsabilità del board. E, in particolare, la domanda: quando il consiglio d’amministrazione deve essere chiamato a prendere decisioni o a fornire supporto concreto alle scelte della governance aziendale? Le mansioni di un board spaziano da decisioni sull’opportunità di una fusione aziendale o di un’acquisizione, fino al posizionamento delle infrastrutture produttive e commerciali, passando per le fonti e le modalità di finanziamento, il lancio di nuovi prodotti e servizi e l’espansione verso nuovi mercati. Uno spettro di competenze, responsabilità e operatività che in sostanza copre il 100% della vita di un’azienda. Negli ultimi anni, peraltro, l’ambito di azione si è ulteriormente ampliato, e questo per includere temi di CSR, la promozione della trasparenza interna ed esterna, la sostenibilità ambientale ed etica, la parità di genere e la sicurezza informatica. Inoltre, al consiglio d’amministrazione possono essere attribuite decisioni riguardanti la struttura organizzativa, l’allineamento tra strategia, processi, organizzazione e risorse umane, nonché tutto ciò che concerne la valutazione, la valorizzazione e lo stimolo (anche economico) nei confronti della dirigenza aziendale.

Le competenze di un CdA efficace 

Le persone del board devono senz’altro possedere esperienza e competenza nel loro campo ma devono anche garantire una visione d’insieme e una conoscenza – se non competenza – multidisciplinare. Ciascun membro del board deve essere dotato di pensiero critico e di quella che si può definire intelligenza emotiva e relazionale, apportando una prospettiva internazionale e condividendo best practices acquisite in vari contesti ed esperienze. Inoltre, è fondamentale che i membri del CdA dimostrino flessibilità e capacità di sintesi per affrontare in modo collaborativo e competitivo una serie di tematiche complesse ed eterogenee. In molte realtà aziendali, la strategia è spesso di competenza esclusiva del CEO. Quando cambia il CEO, si assiste a un cambiamento di strategia. Un board passivo accetta e ratifica tale cambiamento senza sollevare obiezioni, anche se questo può voler dire perdita di tempo, frizioni aziendali e dispersione di risorse e investimenti. Un organo efficace riesce invece a rompere questo circolo vizioso, analizzando, insieme con la dirigenza – nuova o storica – i punti critici e di forza,  alimentando un dialogo costruttivo per l’azienda; fornendo inoltre indicazioni precise al management su come perseguire gli obiettivi e in quale tempistica. È compito proprio del consiglio d’amministrazione definire i criteri per valutare il raggiungimento degli obiettivi aziendali: quali obiettivi sono stati raggiunti? E in quale misura? In che tempi? Con quali mezzi e nel confine dei costi preventivati? Il management partecipa a questo processo, offrendo idee e proposte, mettendo in atto azioni e riportando al board sui risultati ottenuti. Si tratta di un lavoro di squadra, e non del lavoro di un singolo. 

TIM Management da anni si occupa di supporto alle aziende, fornendo consulenza strategica e soluzioni manageriali alle imprese che vogliono intraprendere un percorso di crescita. Il giusto partner per una composizione o una ristrutturazione del consiglio d’amministrazione e, in generale, per la definizione degli organi direttivi e del management aziendale. La sua rete di professionisti esperti dotati di una visione a lungo termine e di competenze multi-settoriali, rappresenta la soluzione ideale per supportare l’azienda nel percorso di trasformazione e cambiamento. Contattaci per costruire insieme un futuro aziendale vincente e durevole.

Il Ruolo Centrale della Tecnologia nell’Integrazione Post-Fusione aziendale

Nell’integrazione post-fusione la tecnologia è diventata essenziale quanto le considerazioni finanziarie e sul personale. Le aziende danno sempre una priorità crescente alla gestione dei dati, e, in generale, al livello della tecnologia, per garantire la continuità aziendale e raggiungere gli obiettivi della fusione, a partire da quelli di breve termine.

Le aziende che non investono, tempo e risorse, in tecnologia, specialmente in riferimento alla gestione dei dati, rischiano di compromettere persino la continuità operativa a breve termine, ostacolando gli sforzi per raggiungere gli obiettivi a lungo termine della fusione.  Citiamo un obiettivo tra tutti: promuovere la competitività attraverso la ricerca di efficienza e l’innovazione. La soluzione logica sembrerebbe quella di mettere al centro della propria azienda la tecnologia. Ma sebbene possa sembrare semplice, questo processo richiede alle aziende di adattare processi e funzioni. Un primo passo è senz’altro stabilire una leadership che guidi le iniziative di integrazione tra le funzioni aziendali e tecnologiche, allineando le loro priorità strategiche. Ma non basta. Per sostenere gli sforzi di integrazione, le aziende devono istituire una governance robusta con il giusto modello operativo, per favorire una cultura orientata ai dati, di modo che questi ultimi possano guidare le decisioni aziendali.

Cosa determina il ruolo centrale della tecnologia?

L’imperativo, secondo cui la tecnologia debba avere un ruolo centrale nella fase post- fusione, è ancora più rilevante se si considera il post-fusione non come una singola fase, bensì come una serie di fasi, anzi di orizzonti temporali: 

Orizzonte 1 (fino al giorno 100). Nella fase iniziale, l’azienda nata dalla fusione dovrebbe dare priorità alla continuità operativa. Fin dal primo giorno della fusione, le attività aziendali dovrebbero procedere come al solito, senza interruzioni o cambiamenti, con la tecnologia in grado di funzionare a livelli pari o superiori a quelli precedenti alla fusione. I dipendenti di entrambe le organizzazioni dovrebbero avere un’esperienza coesa di un’unica azienda.La tecnologia ci viene in aiuto: una rete unica e connessa, in luogo di tante reti aziendali; strumenti e piattaforme comuni; accesso diffuso a file e materiale, sono solo alcune delle scelte da intraprendere per un percorso di fusione fluido ed efficace. Ma è anche essenziale adottare al più presto misure di sicurezza informatica unificate: si registra un costante aumento degli attacchi informatici e di phishing nei periodi immediatamente successivi alle fusioni aziendali. Durante il primo periodo è essenziale che tutte le funzioni comprendano e gestiscano correttamente i dati, in modo da favorire una condivisione ampia, ma anche per permettere di segnalare eventuali criticità al management. Appare inevitabile, poi, che sin dall’Orizzonte 1 i team debbano iniziare a tenere presente gli obiettivi degli orizzonti 2 e 3. 

Orizzonte 2 (dal giorno 100 ai 2-3 anni dopo la fusione). Ovvero la fase di consolidamento, quando l’integrazione dei processi aziendali e dell’operatività deve essere perfetta. Per le funzioni tecnologiche ciò comporta la fusione delle piattaforme e del supporto per consentire una standardizzazione dei processi. Allo stesso tempo, i team che si occupano di tecnologia dovrebbero progettare prodotti aziendali pensati per supportare la strategia dell’azienda risultante dalla fusione e gettare le basi per le sinergie aziendali da ricercare nell’orizzonte 3. 

Orizzonte 3 (dai 2-3 anni ai 4-5 anni dopo la fusione). Nella fase finale, l’attenzione si allarga all’ambizione aziendale di più lunga durata, mirando a raggiungere i benefici strategici della fusione su scala più ampia. I team tecnologici e di gestione dei dati dovrebbero lavorare in stretta collaborazione con i team aziendali per trasformare i processi e potenziare le capacità. Tali collaborazioni dovrebbero indirizzare strategicamente gli investimenti verso:

  • Una trasformazione dei processi aziendali. Utilizzare i dati e l’IA per prendere decisioni e automatizzare le operazioni.
  • Un rinnovamento dei modelli operativi. Trasformare il modello operativo tecnologico e aziendale per aumentare la produttività organizzativa.
  • L’adozione di pratiche e strumenti scalabili che consentano la rapida integrazione nel modello aziendale di nuove tecnologie.

Come mettere la tecnologia al centro dell’azienda

Per mettere la tecnologia al centro della pianificazione e della gestione dell’integrazione post-fusione, le aziende dovrebbero sin da subito: 

  1. Instaurare una collaborazione tra i leader dell’area business e quelli dell’area tecnologica, per sviluppare congiuntamente l’agenda di integrazione e prendere decisioni in linea con i tre orizzonti. Le integrazioni di maggior successo si basano sempre su solide relazioni di lavoro tra i team che permettono e incoraggiano un dialogo costante. Principi condivisi, obiettivi comuni e modelli di collaborazione sono essenziali per un processo decisionale efficace e una corretta prioritizzazione degli obiettivi.
  2. Definire chiaramente i principi decisionali e le linee guida, adottando un approccio che stabilisca i criteri per valutare il raggiungimento degli obiettivi – di breve, medio e lungo termine – durante ogni fase dell’integrazione. E’ spesso più efficace concentrarsi pragmaticamente su ciò che è necessario raggiungere durante ciascun orizzonte, piuttosto che puntare alla perfezione.
  3. Integrare tecnologia e gestione dei dati nei meccanismi formali di governance, istituendo un team dedicato all’interno dell’ufficio di gestione dell’integrazione. Questo team sarà incaricato,in collaborazione con gli stakeholder aziendali, di identificare e coordinare tutte le aree su cui la tecnologia avrà un impatto, garantendo che la tecnologia utilizzata sia in grado di supportare con successo la visione aziendale. 
  4. Creare un modello operativo integrato con team multidisciplinari, composti da personale altamente qualificato dell’area business e dell’area tecnologica. I team seguiranno linee guida concordate per sviluppare e implementare un insieme integrato di processi aziendali, supportati dall’ambiente tecnico e tecnologico necessario. Un modello, quindi, che promuova una chiara distribuzione delle responsabilità all’interno dei team, con il personale dell’area business che definisce la direzione e il personale tecnico responsabile del raggiungimento degli obiettivi.
  5. Favorire un approccio data-oriented, incoraggiando e celebrando le scelte basate sull’analisi dei dati. Nel contesto emotivamente carico della post-fusione, il management può aggrapparsi alle strutture e ai processi ereditati dalle precedenti organizzazioni. È quindi essenziale assicurare che i fatti, non i pregiudizi personali o altri fattori emotivi, guidino le loro decisioni. Ad esempio, comprendere i punti di forza e le lacune esistenti nei processi, a prescindere dall’eredità aziendale, è fondamentale perché fornisce una solida base per le analisi e per prendere le decisioni su quali asset mantenere, migliorare o sostituire in futuro.

La tecnologia sta diventando sempre più integrata nelle operazioni aziendali, e questo la porta ad essere di per sé un fattore che apporta valore all’azienda. Questo è particolarmente accentuato nelle PMI, dove i problemi legati all’integrazione tecnologica possono diminuire il valore dell’azienda, aumentare i costi e portare a soluzioni di qualità inferiore, che possono persistere per anni. Mettendo la tecnologia al centro della PMI, le aziende possono evitare complessità e ritardi che ostacolano l’integrazione aziendale e la realizzazione degli obiettivi. Peraltro, molte delle azioni necessarie non sono né complesse né eccessivamente costose, ma richiedono un intervento tempestivo per evitare ripercussioni in futuro. In definitiva, adottare la giusta strategia, scegliere i giusti strumenti tecnologici, all’inizio di un processo di integrazione, è fondamentale per garantire il pieno raggiungimento degli obiettivi della fusione.

TIM Management da anni si occupa di supporto alle aziende, fornendo consulenza strategica e soluzioni manageriali esperte alle imprese che vogliano intraprendere un percorso di crescita, anche in contesti di fusione o post-fusione aziendale. La sua rete di professionisti esperti dotati di una visione a lungo termine e di competenze multi-settoriali, rappresenta la soluzione ideale per supportare l’azienda nel percorso di trasformazione e cambiamento. Contattaci per costruire insieme un futuro aziendale vincente e durevole.

 

Sconfiggere l’arroganza in azienda: i 4 Pilastri della continuità aziendale

Il CEO e il board giocano un ruolo cruciale nella lotta contro ogni forma di arroganza e mancanza di etica in azienda. Lo fanno attraverso il loro comportamento, definendo i confini e le norme per il resto dell’organizzazione.

 

Oggi, i migliori manager seguono ciò che chiamiamo il principio della perpetuità, fungendo da custodi delle loro società e sviluppando imprese redditizie e sostenibili nel medio periodo. Sono manager che si concentrano sui risultati, assicurando che la sostanza trionfi sullo stile e l’apparenza e promuovendo un comportamento etico, il rispetto per gli altri, la modestia e la diligenza.

Per questo i CEO dovrebbero concentrarsi sui seguenti quattro pilastri e su come la loro azienda si posiziona rispetto ad essi:

 

1. Generare valore a lungo termine

Dare la colpa a fattori esterni, come un mercato poco ricettivo o altre situazioni contestuali, per giustificare performance non soddisfacenti da parte dell’azienda è una via fin troppo facile. Prima di puntare il dito, il vero leader dovrebbe guardarsi allo specchio e identificare ciò che crea valore in azienda e ciò che lo distrugge.

Il CEO e il suo team dovrebbero intraprendere regolarmente un processo di revisione strutturata e onesta del portafoglio aziendale per individuare eventuali unità in difficoltà o un calo dei principali fattori trainanti del valore, come la quota di mercato, il margine lordo e il posizionamento di prezzo.

Allo stesso tempo, si dovrebbero perseguire strategie volte ad ottenere una crescita organica del fatturato, senza considerare azioni esogene per accelerare la crescita, come comprare e vendere aziende o rami d’azienda pensando di compiacere il mercato e gli stakeholders. 

In definitiva, un’azienda prospera solo se riesce ad offrire ai suoi clienti prodotti o servizi migliori della concorrenza o con un miglior rapporto qualità prezzo  ed è in grado di rispettare le scadenze di consegna e distribuzione. I leader non dovrebbero mai dimenticare questi basics, indipendentemente dalla pressione dei mercati finanziari.

 

2. Promuovere una cultura aperta e critica

Incoraggiare i principali decisori aziendali a sfidare il buon senso comune e le abitudini consolidate è una scelta giusta, ma non sempre facile; per i CEO, spingere gli altri a mettere in discussione i loro piani e le loro convinzioni può essere un processo scomodo. Creare e mantenere un ambiente di lavoro in cui chiunque si senta libero di esprimere la propria opinione senza timore di ritorsioni o critiche è un obiettivo fondamentale per l’organizzazione che voglia migliorare il clima aziendale e le performance allo stesso tempo.

Ci sono diverse modalità per favorire un dialogo aperto e onesto. La più efficace per il CEO è accettare di mettere in discussione il modello di business esistente e le modalità operative dell’azienda. Un’altra è quella di condurre un esercizio in cui una parte del team operativo assume una visione sfidante, giocando il ruolo di avvocato del diavolo e mettendo in discussione lo status quo. E’ un role game che, attraverso la creazione di scenari alternativi, può stimolare la creatività e prevenire l’insorgenza di una staticità alla lunga dannosa.

 

3. Implementare la “Smart Simplicity” nella gestione del lavoro

Oltre a creare nuove visioni del futuro, i manager devono saper affrontare, in modo molto pratico e lineare, il modo in cui gestiscono e organizzano il lavoro del team. Troppo spesso, il CEO si imbarca una riorganizzazione aziendale che, nonostante le migliori intenzioni, porta solo a una proliferazione costosa e troppo complicata di strutture, processi e sistemi.

Ecco perché ciò che chiamiamo “smart simplicity” è così importante: minimizzare strutture, processi e sistemi e, al contempo massimizzare leadership, cooperazione e coinvolgimento. Non si tratta semplicemente di una riduzione arbitraria di complessità, ma piuttosto della consapevolezza che un eccesso di complessità può ostacolare l’innovazione, rallentare la presa di decisioni e compromettere la flessibilità aziendale.

Eliminare le procedure superflue, implementare i sistemi digitali e di automazione, attuare modelli organizzativi flessibili e ridurre i livelli gerarchici sono alcuni dei modi in cui questa strategia prende vita. E’ l’esatto contrario di un cambiamento superficiale, che in realtà inibisce la vera trasformazione; un modello organizzativo semplice e logico costringe i dirigenti a porsi alcune domande chiave: stiamo davvero cambiando in meglio quello che facciamo e il modo in cui lavoriamo insieme?

 

4. Diventare i custodi dell’azienda

I CEO dovrebbero essere consapevoli del loro ruolo nella comunità aziendale, dare l’esempio attraverso il loro comportamento e sforzarsi sia di fare bene che di fare del bene, per l’oggi e per il domani. 

Con l’importanza crescente di fiducia, sostenibilità e reputazione, i leader non possono più concentrarsi esclusivamente sul profitto e sui KPI; oggi hanno un ruolo più ampio che è quello di saper plasmare un futuro più resiliente e responsabile per l’azienda e la società che la circonda.

Le aziende possono contribuire al benessere delle comunità locali attraverso i loro prodotti e servizi, la creazione di posti di lavoro, l’istruzione e la formazione professionale. In questo contesto, infatti, la nascita delle B Corp (Benefit Corporations) e l’incremento dei progetti ESG (Ambientali, Sociali e di Governance) rappresentano importanti sviluppi nel mondo degli affari, evidenziando un cambiamento verso una maggiore responsabilità sociale e la sostenibilità.

Le aziende sempre più di frequente inseriscono tra i loro obiettivi l’impegno a perseguire oltre il profitto anche obiettivi sociali e ambientali; si impegnano in modo aperto ed esplicito a bilanciare le esigenze degli azionisti con il contributo positivo alla società e all’ambiente. I progetti ESG si concentrano su criteri ambientali, sociali e di governance per valutare il rendimento e l’impatto di un’azienda al di là del semplice profitto; forniscono un quadro più ampio per valutare e migliorare le prestazioni aziendali in diversi settori, dalla riduzione delle emissioni di gas serra alla promozione di ambienti di lavoro che abbraccino i temi di Diversity & Inclusion.

 

Oltre a questi quattro punti fondamentali, è importante saper sviluppare percorsi strutturati di leadership e formazione. I CEO dovrebbero prevedere un rimescolamento del team esecutivo e percorsi di formazione e aggiornamento strutturati per i manager al fine di evitare il rischio di compiacenza e di favorire lo sviluppo di un ambiente di lavoro in cui siano incoraggiate le sfide allo status quo e la creatività.

 

In generale, le figure apicali dovrebbero sempre considerare il proprio mandato come a tempo limitato. Nessuno è al di sopra dell’azienda, neanche il suo più alto dirigente. Troppo spesso, gli amministratori delegati con lunghe carriere si legano a modus operandi che diventano rapidamente obsoleti nel frenetico mondo di oggi.

Sapere quando appendere le scarpe al chiodo è notoriamente difficile, che si tratti di affari, politica o sport. I leader più riusciti, attenti a non distruggere il lascito che hanno costruito, capiscono che non dovrebbero mai pensare di essere indispensabili o eterni.

Lo scopo essenziale di un’azienda è dare valore ai clienti e profitti agli azionisti in modo sostenibile e duraturo. Per avere successo i CEO dovrebbero sempre tenere in primo piano il Principio della Perpetuità, cercando di tenere l’azienda all’avanguardia e impegnandosi in una lotta implacabile contro l’arroganza e la mancanza di etica aziendale, che si può manifestare come avidità, autopromozione o elusione della realtà e dell’evoluzione del mercato.

Tim Management fornisce una rete di professionisti qualificati, pronti a guidare le aziende attraverso cambiamenti e sfide, consolidando così la ricerca di continuità e successo e favorendo la rotazione della leadership.

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Sette strategie vincenti per affrontare la trasformazione aziendale

Cosa funziona davvero quando si tratta delle trasformazioni aziendali al giorno d’oggi? Le sette azioni che abbiamo identificato indicano un approccio integrato per gestire con successo il cambiamento.

 

Le aziende moderne si trovano quotidianamente a fare i conti con un mondo in continua evoluzione, che richiede una spiccata capacità di gestione del cambiamento. Si tratta di un processo sempre più complesso e rischioso, che può comportare un’ingente perdita di valore, durante tutte e quattro le fasi della trasformazione: orientamento, pianificazione, implementazione e consolidamento.

Come evidenziato in una recente indagine di McKinsey, sono quattro anche gli elementi che sostengono il successo dell’organizzazione durante questi passaggi così delicati: volontà, competenza, rigore e ambito di applicazione.

Più precisamente, sono emerse sette azioni che consentono all’azienda di consolidare i miglioramenti delle prestazioni e ottenere un vantaggio competitivo rilevante durante un processo di trasformazione e cambiamento.

Esaminiamole nel dettaglio:

 

Volontà.

Rappresenta l’audace obiettivo di raggiungere il massimo potenziale dell’organizzazione;  per alimentare questa determinazione sono state individuate due azioni strettamente legate al successo della trasformazione:

  1. Favorire la comprensione e la condivisione degli obiettivi. I risultati dell’indagine indicano quanto sia fondamentale che i dipendenti capiscano il motivo per cui devono cambiare. Spetta , in primo luogo, all’azienda spiegare perché la trasformazione è necessaria; inoltre, è fondamentale chiarire le sue implicazioni per tutti i lavoratori di qualsiasi seniority, identificare gli stakeholder chiave per costruire il supporto interno e garantire che i leader condividano una storia di cambiamento coerente, ottenendo un allineamento generale agli obiettivi prefissati.

 

  1. Role modeling. Le figure apicali devono dare l’esempio e guidare i cambiamenti di mentalità e comportamento che si aspettano dagli altri durante la trasformazione. Per fare ciò, è necessario comunicare chiaramente e in modo coerente le aspettative e la direzione del cambiamento, nonché identificare gli “influenzatori” (cioè i leader a cui gli altri dipendenti si rivolgono per consigli, contributi o idee) e coinvolgerli come responsabili di importanti iniziative o traguardi. Ciò dimostra come il role modeling, per essere efficace, debba essere implementato a tutti i livelli.

 

Competenze.

Per garantire che l’organizzazione abbia le capacità necessarie per sostenere la trasformazione, lo studio riporta due principali azioni.

  1. Costruire competenze. Una volta ottenuto l’impegno verso i cambiamenti, è opportuno mettere in atto azioni adeguate a sviluppare le skill necessarie per il successo dell’azienda, comprese le abilità tecniche, di esecuzione, interpersonali e di leadership. In questa fase, è opportuno anche identificare eventuali lacune e sviluppare capacità direttamente collegate alla creazione di valore.
  2. Applicare le competenze. Durante la trasformazione, i lavoratori hanno bisogno di regolari opportunità per applicare quanto stanno apprendendo. Stabilire una cadenza di incontri settimanali per i dipendenti di tutte le categorie è un’ottima strategia per condividere i progressi nell’applicare i nuovi comportamenti e per monitorare l’attuazione delle iniziative; è una modalità adatta a garantire che le persone abbiano il giusto numero di occasioni per dimostrare ed esercitare le competenze che stanno sviluppando.

 

Rigore.

Anche la disciplina organizzativa nell’attuare rapidi cambiamenti necessità di due azioni

  1. Muoversi rapidamente per ottenere risultati tangibili. Il tempo è un fattore essenziale quando le aziende apportano miglioramenti funzionali agli obiettivi che la trasformazione mira a ottenere. Gran parte del valore che si ottiene in questo processo viene raggiunto nelle fasi iniziali. Per accelerare, i leader dovranno identificare ed eseguire rapidamente azioni correttive (ad esempio, sul pricing e su una gestione migliore delle spese) e farlo entro i primi sei mesi, creando una sorta di roadmap di sprint iterativi per sviluppare iniziative sempre più complesse.
  2. Integrare meccanismi di controllo e incentivazione. Altrettanto critica per la disciplina del cambiamento è l’attuazione di politiche e procedure innovative che riflettano e rafforzino i cambiamenti portati dalla trasformazione.Le aziende possono stabilire obiettivi correlati a revisioni annuali delle prestazioni, responsabilizzando i leader di progetto e collegando direttamente gli incentivi finanziari dei dipendenti ai risultati. 

 

Ambito.

Le trasformazioni con un’ampia portata tendono a rendere l’azienda più competitiva; è quello che si evince nell’ultima azione emersa dall’indagine.

Aspirare a un impatto olistico. Le aziende dovrebbero stabilire obiettivi audaci, tesi a migliorare le prestazioni in una vasta gamma di ambiti: finanziario-operativo o entrambi, cliente, dipendente, sociale-ambientale o entrambi, manifatturiero. Studi precedenti hanno dimostrato che gran parte del valore di una trasformazione è generato da queste iniziative mirate alla crescita, il che dimostra che affrontare entrambi i lati del conto economico aiuta l’organizzazione a raggiungere il suo pieno potenziale attraverso il cambiamento.

 

In conclusione, affrontare il cambiamento organizzativo richiede non solo una comprensione profonda delle strategie, ma anche l’accesso a risorse e competenze di alto livello.

In questo contesto dinamico, TIM Management si propone come il partner ideale per le aziende che cercano non solo consulenza strategica durante le trasformazioni, ma anche l’esperienza pratica di una rete globale di professionisti del temporary management. 

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L’etica del lavoro sta cambiando: un comune denominatore tra generazioni diverse

Sono in atto cambiamenti epocali nell’approccio al lavoro che stanno ridefinendo radicalmente l’etica lavorativa, mentre le diverse generazioni – non basta più catalogare gli atteggiamenti nei confronti del lavoro basandosi su stereotipi generazionali – convergono su un comune denominatore.

 

I lavoratori più giovani rappresentano una parte sempre più significativa della forza lavoro, alcune stime indicano che entro il 2025 i membri della Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) potrebbero costituire oltre il 25% della forza lavoro globale.

Per comprendere appieno la dinamica del cambiamento generazionale che sta attraversando il mondo del lavoro, bisogna spingersi oltre le convenzionali etichette generazionali. Quello che emerge dalle ricerche, è la sorprendente convergenza di ciò che le persone, indipendentemente dall’età, cercano sul posto di lavoro e le ragioni che li spingono a cambiare o abbandonare il proprio lavoro.

Le peculiarità cominciano ad emergere quando si tratta di creare le condizioni per trattenere i dipendenti più validi. Per i datori di lavoro, la sfida più difficile è quella di adattare le proprie strategie di retention alle esigenze specifiche della Generazione Z, che spesso si rivelano diverse rispetto alle generazioni precedenti e spiazzanti per chi si occupa di HR.

In questo contesto in continua evoluzione, emergono lezioni cruciali: abbandonare gli stereotipi generazionali, concentrarsi sui fattori che restano rilevanti – indipendentemente dall’età – e abbracciare un approccio più articolato per comprendere come tali fattori possano influenzare le decisioni individuali di rimanere o cercare altrove opportunità di lavoro e carriera. 

 

Le similitudini tra diverse generazioni

Nonostante le ipotetiche differenze generazionali riguardo le aspirazioni dei lavoratori, molti stereotipi basati sull’età, specialmente quelli riguardanti i membri più giovani della forza lavoro, si potrebbero in realtà rivelare leggende senza reale fondamento. 

Secondo i dati raccolti dalla ricerca di McKinsey, sebbene ci siano differenze nei tassi di abbandono tra i vari gruppi di età, le preferenze dei dipendenti sono sorprendentemente simili, soprattutto quando si tratta di considerare l’opportunità di lasciare il lavoro. 

Questo è un dato importante poiché significa che, sia le esigenze, che le motivazioni dei manager in cerca di un cambiamento nel proprio ruolo, indipendentemente dall’età, possono essere affrontate con una strategia comune.

Tra coloro che intendono cambiare lavoro, le motivazioni principali sono sorprendentemente simili tra tutti i gruppi di età: 

  • Compensazione insufficiente;
  • Mancanza di opportunità di sviluppo e avanzamento professionale;
  • Leadership poco empatica

Ancora più interessante è constatare che le ragioni principali per aver lasciato il proprio incarico precedente sono le stesse sia per i manager più giovani che per quelli più anziani. Questi sono anche i motivi citati da diverse fasce d’età per spiegare perché potrebbero in futuro decidere di abbandonare il loro incarico attuale.

Questi risultati ci confermano che è fondamentale comprendere e soddisfare queste esigenze comuni per mantenere una forza lavoro motivata ed efficiente, indipendentemente dalla generazione di appartenenza.

 

Strategie di attrattività

Per attirare nuovi talenti in azienda, le strategie più efficaci coinvolgono sia i “fattori fondamentali”, come la retribuzione e lo status, che i “fattori motivanti”, come il livello di responsabilità e autonomia e le opportunità concrete di sviluppo della carriera; tenendo ben presente che un gruppo di fattori non sostituisce l’altro e che entrambi devono essere presenti in maniera equilibrata. 

Questo vale in maggior misura per la Generazione Z, che considera i “fattori motivanti”, insieme alla flessibilità sul luogo di lavoro, come i più importanti quando si tratta di accettare un nuovo impiego. Rispetto ai dipendenti delle generazioni precedenti, i più giovani classificano la retribuzione come un fattore leggermente meno importante. E’ vero che una retribuzione equa e adeguata è sempre stata un fattore critico, ma nel contesto attuale, è probabile che tutti i lavoratori si aspettino una buona retribuzione come parte fondamentale del valore dell’offerta di lavoro. 

Ogni gruppo di età colloca la retribuzione adeguata, o lamenta la sua inadeguatezza, come un elemento nelle loro decisioni di impiego. 

Ma d’altro canto, la sola retribuzione non convincerà un lavoratore né a restare né a cercare altrove. Tuttavia, il margine di errore nell’under paying delle persone (o nella loro percezione di essere sottopagate) è ora molto più ridotto, specialmente con i migliori talenti di un’azienda, che potrebbero essere molto più propensi a cercare un nuovo impiego se non si sentono retribuiti equamente, a prescindere dall’età.

Le notevoli analogie tra le generazioni sembrano ribaltare le convinzioni tradizionali sulle differenze nella forza lavoro per età o generazione. Le ragioni per cui le persone lasciano il lavoro, inoltre, evolvono nel tempo, quindi non sarà più sufficiente, per i datori di lavoro, presumere che le ragioni per cui le persone hanno già lasciato il lavoro siano le stesse che in passato.

 

Giovani e passaggio generazionale d’impresa

Il passaggio generazionale nel management d’impresa è un processo fondamentale per trattenere i lavoratori più giovani – oltre che per mantenere la continuità aziendale. Per dimostrare ai giovani manager che c’è un futuro all’interno dell’azienda però, è essenziale investire nella loro formazione e crescita. 

Questo presuppone l’adozione, da parte di chi gestisce le risorse umane, di un approccio differente rispetto alla tradizionale traiettoria di carriera, che prevedeva di lavorare duramente, ottenere buoni risultati e scalare la gerarchia aziendale; oggi è importante considerare percorsi di carriera meno verticali e modalità differenti di valutare le performance, per garantire opportunità concrete di crescita dei dipendenti, all’interno dell’organizzazione.

Offrire strutturalmente opportunità per sviluppare nuove competenze o fare nuove esperienze, come lavorare su progetti critici o spostarsi lateralmente in nuovi ruoli, è la chiave per accelerare il processo di adeguamento della gestione strategica delle risorse umane. Questi “micro” traguardi possono fornire ai lavoratori più giovani non solo un percorso di carriera più dinamico, ma anche un feedback più immediato sul loro processo di crescita e una maggiore consapevolezza di essere apprezzati dall’azienda.

Grazie alla sua vasta rete di professionisti altamente qualificati e esperti in diversi settori, TIM Management è in grado di fornire alle aziende il supporto di interim manager esperti nella gestione del cambiamento che possono contribuire a creare un ambiente di lavoro più stimolante e ad accrescere le competenze dei manager più potenziali, motivandoli a rimanere nell’organizzazione. 

Questo diventa particolarmente rilevante in caso di passaggio generazionale per le aziende familiari, dove il manager a interim lavora per stabilire una relazione costruttiva tra il giovane successore e l’imprenditore, colmando il gap di competenze ed esperienza, con l’obiettivo di potenziare la competitività aziendale e garantire una continuità di successo all’impresa.