Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Come sarà il lavoro nei prossimi 50 anni?

Nel corso dei prossimi anni, le tecnologie emergenti e le trasformazioni culturali, legate all’adozione dell’IA generativa e all’influenza crescente delle generazioni più giovani, continueranno a cambiare ed evolvere l’esperienza quotidiana dei lavoratori. Tuttavia, non è inevitabile che organizzazioni e comunità possano guidare e orientare l’impatto di queste sfide globali.

Come sarà il lavoro del futuro? Dalla risposta a questa domanda dipendono molte decisioni, del singolo ma anche delle organizzazioni e delle comunità. Secondo alcuni punti di vista le prospettive per i prossimi 50 anni possono suggerire un ottimismo prudente, ma ci sono diversi fattori da tenere in considerazione per effettuare scelte che siano realmente consapevoli. 

Boston Consulting Group ha coinvolto più di 150 esperti in diversi campi, che, attraverso discussioni e sondaggi di opinione, hanno provato a costruire una visione del lavoro da ora a cinquant’anni. Contrariamente alle paure diffuse, secondo cui il futuro offrirà meno opportunità di lavoro per le persone, la maggior parte degli esperti prevede che le opzioni di lavoro – a condizioni anche migliori e più gratificanti – saranno numerose. Individui, organizzazioni e comunità che saranno capaci di sviluppare nuove competenze si potranno adattare meglio ai cambiamenti, con stime di crescita del lavoro qualificato davvero notevoli. Ad esempio, i settori economici che stanno già oggi utilizzando strumenti di Generative AI, o le professioni che richiedono una creatività elevata, offriranno nuovi percorsi di carriera che impatteranno positivamente sulla sostenibilità aziendale e sulla soddisfazione personale.

Quattro confini per disegnare il Futuro

Nei prossimi anni, tecnologie emergenti e trasformazioni culturali continueranno a cambiare ed evolvere l’esperienza quotidiana dei lavoratori. Tuttavia, non è da escludere che queste sfide globali possano impattare negativamente su alcune organizzazioni e comunità.

I manager, gli imprenditori e i leader che vogliono costruire politiche occupazionali e strategie aziendali in grado di creare e mantenere posti di lavoro a lungo termine, devono tenere conto dell’evoluzione degli scenari e rispettare i confini disegnati dall’evoluzione del contesto. Rimanere entro questi “confini” sarà la via maestra per conservare un ambiente lavorativo sano e positivo per le comunità e per le aziende. Al contrario, non tenerne conto potrebbe portare a esiti dannosi. Ma quali sono questi confini:  

  • Confine Planetario. Riferito, ovviamente, alla sostenibilità ambientale. Un confine invalicabile se si vuole continuare a migliorare la situazione dell’umanità. L’economia attuale sta violando costantemente questo limite con alte emissioni di carbonio e processi di produzione insostenibili per l’ambiente, e la situazione, in presenza di forti tensioni sociali o economiche,  potrebbe anche peggiorare. 
  • Confine Tecnologico. Con l’AI che evolve a un ritmo frenetico, il confine sempre mutevole tra l’uso sicuro e quello pericoloso della tecnologia può essere difficile da definire. Se l’uomo perde il controllo dei suoi asset tecnologici, tra cui, ad esempio,  la robotica, l’ingegneria geotermica o la biotecnologia – o ne propone un utilizzo errato – c’è il serio rischio di andare verso uno scenario di crisi profonda e forse irreversibile. 
  • Confine Sociale. Il mondo del futuro deve fornire risorse e condizioni di vita adeguate – acqua, cibo, riparo e pace – a soddisfare i bisogni fondamentali dell’essere umano. Non ci sarà stabilità se non ci sarà anche una reale disponibilità diffusa delle risorse a livello mondiale. E senza stabilità, non ci potrà essere prosperità. 
  • Confine Socio-cognitivo. Verità, fiducia,creatività sono alcuni degli elementi essenziali che sostengono la nostra salute mentale collettiva. Le fake news, la disinformazione e tendenze verso l’estremismo e la contrapposizione spingono l’umanità al di là di questo limite, distruggendo la coesione sociale e ostacolando la collaborazione su larga scala.

Il futuro può svilupparsi verso modelli economici positivi che devono necessariamente muoversi entro questi confini, e i leader devono comprendere quali possano essere i modelli di sviluppo più adatti a rientrare in questi limiti. Ad esempio, le economie possono tendere verso modelli circolari e rispettosi dell’ambiente e la transizione energetica deve essere considerata un processo di miglioramento continuo, perché permette di bilanciare la sostenibilità con le performance aziendali (un’azienda che non dipende più da sistemi antiquati è per definizione più affidabile e profittevole). 

Le aziende possono ridurre i rischi associati all’adozione diffusa della tecnologia scegliendo modelli di produzione e distribuzione più orientati alle filiere locali e, in qualche caso, all’autoproduzione. Una risposta sorprendente ai disagi delle catene di approvvigionamento di oggi e all’alto livello di emissioni di CO2, ad esempio, potrebbe essere un modello di produzione fai-da-te. Nel quale un’azienda vende disegni digitali per la stampa 3D e l’assemblaggio fai-da-te di prodotti, lasciando agli utenti finali la costruzione del prodotto stesso, invece di fornire macchine, apparecchiature, abbigliamento e in generale prodotti finiti. Risultato: un impatto ambientale ridotto e catene di approvvigionamento più flessibili e adattabili ai cambiamenti.

L’innovazione è un elemento fondamentale per garantire la disponibilità adeguata di beni primari come cibo e acqua. Ad esempio, per garantire una maggiore sicurezza alimentare alla popolazione mondiale sarebbe necessario eliminare le perdite evitabili che, secondo l’ONU, ammontano al 30% di tutti gli alimenti prodotti. Progetti come ZeroW, un’iniziativa dedicata al raggiungimento della sostenibilità senza sprechi, incoraggiano le imprese ad adottare concetti come le serre senza sprechi e l’imballaggio intelligente per produrre cibo in modo redditizio, consentendo a più larghe fette della popolazione di avere piena disponibilità dei beni necessari.

I Settori più promettenti nell’economia del futuro

Nuovi modelli economici, basati su queste opportunità, potrebbero far emergere una serie di aree e settori con un significativo potenziale di creazione di posti di lavoro. Diversi settori mostrano già alcuni segnali degni di nota in questa direzione.

 

  • Assistenza alle persone. Il rapporto tra le persone diventerà centrale in un’economia che mira al benessere collettivo. Alle forme tradizionali di assistenza alle persone anziane, ai bambini e ai gruppi sociali svantaggiati, si affiancheranno nuove forme di assistenza, come quelle legate alla salute mentale. Dalla ricerca di BCG emerge che il settore dell’assistenza è quello con il più alto potenziale di creazione di posti di lavoro.
  • Industrie e Infrastrutture che si occupano di rigenerazione. Ovvero l’impiego di materiali naturali e processi circolari nella costruzione e nella produzione, come le infrastrutture urbane che utilizzano soluzioni basate su materiali naturali o di riutilizzo nella costruzione delle opere. Includiamo in quest’area anche le energie rinnovabili. 
  • Sicurezza Olistica. Un approccio olistico alla sicurezza affronta i rischi in modo sistematico e preventivo. Ad esempio, una strategia di sicurezza olistica per una società globale, sottoposta ai rischi legati a una supply chain complessa, include la sicurezza informatica (specialmente legata allo IOT), la sicurezza individuale (proteggendo i lavoratori dalla disinformazione sugli eventi politici) e la sicurezza climatica. Poiché la gamma di minacce alla sicurezza cambia costantemente, la sicurezza olistica diventerà uno dei settori chiave di creazione di posti di lavoro, offrendo molte opportunità a lavoratori che svilupperanno le competenze necessarie per gestire in nuovi fattori di rischio
  • Agricoltura, Pesca e Silvicoltura Rigenerative. Questi settori utilizzano nuove modalità di produzione del cibo e di materiali di origine naturale. I posti di lavoro saranno abbondanti nell’agricoltura biologica rurale e urbana, ad esempio nelle vertical farm costruite all’interno del contesto urbano grazie alla riqualificazione di spazi di diversa natura. 
  • Gestione delle informazioni locali. Le organizzazioni formeranno team e collaboreranno per fornire letture del contesto sempre più precise. Questo verrà fatto condividendo obiettivi e pratiche, partecipando agli ecosistemi di apprendimento locali e impegnandosi nell’apprendimento permanente. Ad esempio, reti di comunità agricole rigenerative come Herenboeren nei Paesi Bassi e l’iniziativa Regenerate Cascadia negli Stati Uniti e in Canada hanno creato centri comunitari per coordinare le attività commerciali e scambiare informazioni sulle migliori pratiche. La creazione di conoscenza localizzata richiederà l’introduzione di nuovi ruoli per integrare i tradizionali canali di condivisione della conoscenza.
  • Prosumerismo. Dalla crasi tra “producer” e “consumer”: produzione e consumo saranno sempre più collegati, in molte comunità nasceranno economie in cui i consumatori produrranno beni che poi utilizzeranno direttamente o venderanno all’interno della comunità. I sistemi su piccola scala, gestiti e supervisionati da chi appartiene a quella comunità finiranno per toccare i settori più disparati: dall’elettronica, alle apparecchiature mediche, dai mobili, all’abbigliamento e prodotti per la mobilità sostenibile. I lavoratori esperti in tecnologie come l’AI e la stampa 3D troveranno molte opportunità per contribuire a questo processo.
  • Intrattenimento e Arte partecipativa. Gaming, intrattenimento e arte saranno sempre più importanti per le comunità future. Il tempo che le persone trascorreranno insieme, condividendo nuove esperienze, avrà un impatto positivo per la nascita di n

Per sfruttare al massimo le nuove opportunità emergenti in questi settore e, in generale, nelle aree che subiranno le trasformazioni più rilevanti, come i trasporti, l’energia e l’assistenza sanitaria, le aziende devono coltivare competenze e mentalità orientate al futuro e non farsi trovare impreparate di fronte al cambiamento. 

Il set di Competenze per il futuro

Nei prossimi anni i manager saranno chiamati a migliorare alcune delle competenze che già possiedono, e parallelamente a svilupparne altre completamente nuove. La gamma di competenze rilevanti è ampia, ma ce ne sono alcune di particolare importanza:

  • Capacità Esistenziali, Mentalità, Abitudini. Affrontare dei cambiamenti così rilevanti, in ambito professionale richiede consapevolezza, auto-regolazione fisica ed emotiva, adattabilità e una buona dose di ottimismo. 
  • Competenze “Bioniche”. Le persone sentiranno sempre di più il bisogno di migliorare la loro “alfabetizzazione” tecnologica, prendendo decisioni basate sui dati, facendo scelte creative potenziate dall’AI, e, in generale, adotteranno modelli e strumenti di collaborazione più stretta e naturale tra uomo e macchina. 
  • Creatività. Anche se l’AI rappresenta una sfida per alcuni lavori creativi, la creatività dell’essere umano resterà insostituibile. Non smettere di coltivare l’immaginazione, non trascurare la capacità di risolvere problemi in modo non convenzionale, non nascondere il talento, saranno gli imperativi per migliorare le competenze da applicare nelle varie forme artistiche e di intrattenimento. 
  • Competenze umane-umane, orientate al Team e alla Comunità. Il successo di un individuo dipende non solo dall’interazione efficace persona-persona, ma anche dalla capacità di partecipare produttivamente a team, comunità e organizzazioni. Le organizzazioni dovranno imparare a sfruttare l’intelligenza e la saggezza dei loro membri per la risoluzione collettiva dei problemi. La comunicazione, l’intelligenza emotiva, la capacità di empatizzare, la capacità di lavorare con altri portano prospettive culturali e culturali diverse sul luogo di lavoro e la competenza nella facilitazione e nella co-creazione: sono tutti elementi essenziali perché un’azienda possa funzionare e adattarsi ai cambiamenti.

Il futuro del lavoro 

Le politiche pubbliche e le iniziative aziendali sono potenti strumenti per guidare la forza lavoro verso il giusto insieme di competenze e opportunità. E’ importante, per individui, imprese e enti pubblici abbracciare una visione a lungo termine e accogliere le trasformazioni tecnologiche e sociali come un naturale ponte verso un futuro di successo e prosperità, rendendole parte di un unico grande percorso di sviluppo delle competenze e di transizione verso modelli economici più sostenibili e inclusivi. 

Adottare un atteggiamento proattivo verso il futuro è il passo iniziale per prepararsi a uno scenario ricco di opportunità economiche, che produrrà nuove aree occupazionali e in maggior benessere diffuso. 

TIM Management può offrire consulenza strategica e soluzioni manageriali esperte alle imprese. La sua rete di professionisti esperti dotati di una visione a lungo termine e di competenze multi-settoriali, rappresenta la soluzione ideale per supportare l’azienda nel percorso di trasformazione e cambiamento. Contattaci per costruire insieme un futuro aziendale vincente e durevole.

 

Le donne e il mondo del lavoro: 4 falsi miti da sfatare

Nonostante la presenza in costante crescita e la maggiore flessibilità ottenuta, la rappresentanza femminile nel mondo del lavoro rimane in ritardo rispetto alle aspettative. 

Women in the Workplace di McKinsey, realizzato in collaborazione con LeanIn.Org. è il più ampio studio sulla condizione delle donne nelle aziende di Stati Uniti e Canada. Fornisce uno sguardo approfondito sui pregiudizi e sulle difficoltà affrontate dalle lavoratrici asiatiche, nere, latine e LGBTQ+ e con disabilità.

La ricerca di quest’anno rivela che, malgrado la rappresentanza femminile nella dirigenza sia al suo massimo storico, la parità effettiva rimane ancora fortemente lontana. Innanzitutto, i processi di selezione per le donne, specialmente per ruoli di alto livello, risultano molto più lenti e pieni di ostacoli; inoltre, per le persone di colore non si riscontrano gli stessi incoraggianti valori di presenza in posizioni di rilievo della controparte bianca.

Se da un lato, è un risultato positivo il fatto che, a partire dal 2015, la percentuale di donne in posizioni di C-level sia aumentata dal 17 al 28 percento, d’altro canto, non possiamo trascurare il fatto che questa crescita non si sia riflessa negli strati gerarchici immediatamente inferiori, seppur caratterizzati da una certa seniority; inoltre, si osserva un tasso di abbandono aziendale più elevato per queste categorie rispetto agli anni precedenti, in particolare rispetto agli uomini con livello di esperienza aziendale analogo. In sostanza, ciò si traduce in una minore presenza di donne che aspirano a ruoli di vertice.

A ciò si aggiunge il dato già anticipato secondo cui, per quasi ogni passo nel processo di selezione, la rappresentanza delle dipendenti di colore diminuisce rispetto a quelle bianche e agli uomini della stessa razza ed etnia. 

Il risultato più interessante del sondaggio riguarda invece quattro luoghi comuni sulla condizione delle donne nel mondo del lavoro che sono stati sfatati.

 

Scopriamoli insieme:

1. Le donne stanno diventando meno ambiziose

In ogni fase del processo di selezione, le donne sono impegnate nelle loro carriere e interessate ad essere promosse quanto gli uomini . Le più giovani, in particolare, risultano essere notevolmente ambiziose. 9 su 10, sotto i 30 anni, vogliono essere promosse al livello successivo, e 3 su 4 aspirano a diventare leader.

Inoltre, la pandemia e l’aumentata flessibilità non hanno affievolito le loro aspirazioni, che invece sono cresciute del 10% rispetto al 2019. In poche vogliono tornare alla modalità precedente e, sebbene la maggior parte di loro stia prendendo le giuste misure per dare priorità alla propria vita personale, ciò non comporta alcun ridimensionamento delle loro aspirazioni; anzi: i vantaggi derivanti da questo nuovo stile di vita comportano un incremento della loro produttività e, di conseguenza, della loro ambizione.

 

2. Le donne hanno meno difficoltà degli uomini a raggiungere ruoli di leadership

Dalla ricerca di quest’anno, è emerso che, per ogni 100 uomini promossi dal livello base a quello di manager, altrettanto è accaduto per 87 donne (73 per quelle di colore). Il punto focale della questione non riguarda tanto se queste riescano o meno a raggiungere ruoli di pari grado rispetto ai loro colleghi maschi, ma piuttosto il fatto che impieghino più tempo per farlo. La vera disparità, infatti, è molto più evidente per quello che riguarda le promozioni anticipate. L’aumento della presenza maschile nei livelli superiori porta automaticamente a una minore disponibilità di donne da promuovere a ruoli di senior management, facendo in modo che la presenza femminile si assottigli man mano che si scala la gerarchia aziendale.

 

3. Le microaggressioni hanno un impatto poco significativo

Le microaggressioni sono una forma di discriminazione quotidiana spesso radicata nel pregiudizio. Includono commenti e azioni, anche sottili e non apertamente dannosi, che denigrano o ignorano qualcuno in base al loro genere, razza o ad altri aspetti della loro identità. Rivelano mancanza di rispetto, causano stress acuto e possono avere un impatto negativo sulle carriere e sulla salute delle donne, le quali sono due volte più esposte a questo tipo di episodi rispetto agli uomini.

Di conseguenza, il luogo di lavoro diventa per loro psicologicamente poco sicuro, il che comporta una maggiore difficoltà nell’assumere rischi, proporre nuove idee o sollevare preoccupazioni. Le conseguenze di questo fenomeno sono estremamente negative: chi subisce microaggressioni ed è costretta a difendersi da sola per evitarle è tre volte più propensa a pensare di lasciare il loro lavoro e quattro volte più incline a sentirsi prossima al burnout. Senza il controllo di questi fenomeni, le aziende rischiano di perdere dipendenti di grande talento.

 

4. Sono principalmente le donne a volere e beneficiare del lavoro flessibile

La maggior parte dei dipendenti sostiene che le opportunità di lavorare in remoto e di avere il controllo sui propri orari sono i principali vantaggi offerti dall’azienda, secondi solo alle assicurazioni sanitarie. La flessibilità è persino classificata al di sopra di benefici consolidati come il congedo parentale e l’assistenza all’infanzia. Ciò vale sicuramente per le donne, perché sono tuttora maggiormente impegnate nella cura dei figli o nelle faccende domestiche. Infatti, il 38% delle madri con figli piccoli afferma che, senza tale elasticità, sarebbero state costrette a dimettersi o a ridurre le proprie ore di lavoro. Non sono, però, le uniche a beneficiarne: il lavoro ibrido sta offrendo importanti vantaggi alla maggior parte dei dipendenti. Anche tra gli uomini, un miglior equilibrio tra lavoro e vita personale è visto come una conquista primaria e la maggioranza dichiara che ciò ha comportato una diminuzione della fatica e un minore rischio di burnout.

Le imprese con una forte presenza femminile sono tra quelle più propense a porre rimedio alle criticità emerse dalla ricerca. Monitorare i risultati per la rappresentanza delle donne, sia a livello senior che middle, attuare una politica di forte contrasto alle microaggressioni e sbloccare il pieno potenziale del lavoro agile sono tra le strategie che le aziende possono mettere in atto per favorire lo sviluppo e l’avanzamento professionale delle donne.

In conclusione, sfatare questi falsi miti è un passo importante per ottenere un ambiente lavorativo più equo e inclusivo e sostenere le pari opportunità. Le donne sono altrettanto ambiziose, capaci e impegnate degli uomini ed è fondamentale eliminare le barriere che impediscono loro di raggiungere il successo professionale.

Partner come TIM Management possono offrire consulenza strategica e soluzioni su misura. Con la sua rete di professionisti esperti, può aiutare le organizzazioni a implementare politiche e pratiche che favoriscono la diversità di genere, inclusa la riduzione delle disparità salariali, la promozione delle donne in posizioni di leadership e l’implementazione di politiche di conciliazione lavoro-famiglia. Investire in queste iniziative non solo migliora la reputazione aziendale e l’attrattività come datore di lavoro, ma porta anche a migliori risultati.

Contattaci per costruire una visione aziendale vincente e personalizzata.

Ecco perché i tuoi dipendenti odiano le riunioni aziendali

Ormai non è più un segreto: lamentarsi delle riunioni e della sensazione di tempo sprecato che comportano fa parte della vita lavorativa. La maggior parte delle aziende riempie il calendario dei propri dipendenti con riunioni settimanali meticolosamente programmate. Ore e ore di meeting, call e riunioni che molti dipendenti, ormai non più così silenziosamente, ritengono siano una perdita di tempo.

Ma non deve essere per forza così.

Pochi leader si soffermano a riflettere seriamente sull’impatto, in particolare negativo, che queste riunioni hanno sul morale e sulla produttività delle loro squadre. Spesso, le riunioni sono considerate un “male necessario”, senza alcuna considerazione per il disagio che possono causare. Ma cosa rende così detestate le riunioni, e cosa può fare un Leader per migliorare la situazione?

 

Stop alle riunioni, lo dicono i dati

Su questo problema sono state scritte molte cose, ma le soluzioni generalmente proposte sono mediocri: stabilire un’agenda chiara, delegare un rappresentante a partecipare al proprio posto, e così via. Tuttavia, secondo alcune ricerche, un miglioramento effettivo richiede un cambiamento sistemico, poiché le riunioni hanno un impatto significativo sulla collaborazione tra le persone e sul modo in cui portano a termine il proprio lavoro.

Un sondaggio condotto da Korn Ferry su 1.945 lavoratori ha rivelato che il 67% degli intervistati ritiene che il numero eccessivo di riunioni impedisca di svolgere il loro lavoro nei migliori dei modi.

Secondo la Sloan Management Review del MIT un dirigente medio dedica ben 23 ore alla settimana alle riunioni, un impegno di tempo notevole che solleva interrogativi sulla loro effettiva produttività.

Ma i dati non finiscono qui, uno studio condotto dall’Harvard Business Review, ha rivelato che ben il 71% dei partecipanti all’indagine considera le riunioni come attività improduttive e inefficienti, mentre il 64% ritiene che ostacolino il cosiddetto “deep thinking”.

Nonostante questi dati allarmanti, molti dirigenti sembrano sottovalutare l’importanza di affrontare il problema delle riunioni improduttive. Certo, le riunioni sono essenziali per favorire la collaborazione, la creatività e l’innovazione. Spesso contribuiscono a sviluppare relazioni e a garantire uno scambio adeguato di informazioni, apportando vantaggi reali. Ma perché qualcuno difenderebbe riunioni eccessive, specialmente quando a nessuno piacciono particolarmente?

 

5 modi per migliorare le riunioni aziendali

Spesso i dirigenti vogliono essere dei “bravi soldati”. In particolare quando sacrificano il proprio tempo e benessere per le riunioni, essi ritengono di fare ciò che è meglio per l’azienda e non vedono i costi effettivi per l’organizzazione. In questo modo, trascurano il danno collettivo provocato da un eccesso di riunioni sulla produttività, sulla concentrazione e sul coinvolgimento dei manager.

Vediamo 5 soluzioni pratiche per affrontare questa sfida.

 

1. Definisci un piano d’azione chiaro alla conclusione di ogni riunione

Il più delle volte, i partecipanti alle riunioni si ritrovano a discutere e a fare brainstorming senza una chiara conclusione e senza azioni concrete da intraprendere. Terminare ogni riunione con almeno cinque minuti dedicati a definire le azioni successive, chi ne sarà responsabile, le scadenze e il follow-up può garantire che le azioni vengano effettivamente compiute e che si capisca lo scopo dell’incontro e i suoi potenziali effetti.

 

2. Riduci la durata delle riunioni

Le riunioni che si protraggono più del necessario sono una delle principali fonti di insoddisfazione. Le persone a volte hanno l’impressione che una riunione si trascini per occupare tutto il tempo assegnato, con il risultato di tenere riunioni di un’ora che avrebbero potuto essere concluse in mezz’ora. Diminuire la durata delle riunioni può aumentare la produttività e ridurre il tempo perso e la frustrazione.

 

3. Definisci uno scopo

Senza uno scopo o un ordine del giorno ben definito, le riunioni tendono a diventare discorsive e prive di direzione, lasciando i partecipanti a chiedersi perché sono stati convocati. Rendere i titoli delle riunioni più specifici e chiarire l’obiettivo nella descrizione dell’invito può chiarire quale è il risultato desiderato e il motivo per cui è necessario riunirsi per raggiungerlo.

 

4. Stabilisci chiaramente le aspettative riguardo ai comportamenti

Le riunioni offrono un’opportunità preziosa per il dialogo, la discussione e la risoluzione dei problemi, ma potrebbero degenerare se i partecipanti eccedono in manifestazioni di “cattiva etichetta”. Queste possono includere l’arrivo in ritardo, la distrazione da dispositivi elettronici, l’assenza di attenzione e le interruzioni continue. Per assicurare il successo della riunione è buona pratica stabilire le aspettative riguardo ai comportamenti desiderati durante le riunioni e spiegare perché tali comportamenti sono importanti.

 

5. Comunicare il ruolo di ciascun partecipante

Chiedersi quale sia il proprio ruolo e come il proprio contributo possa influire sul risultato di una riunione potrebbe creare dubbi e disorientamento. I leader raramente spiegano chiaramente il motivo per cui ciascuna persona è stata invitata. Comunicare il ruolo di ciascun partecipante insieme all’ordine del giorno potrebbe aumentare la motivazione dei presenti e anche far risparmiare tempo a chi potrebbe essere esentato dalla riunione perché non essenziale.

 

L’attuazione di queste strategie può ridurre il numero di riunioni inutili, liberando tempo produttivo per i membri del team e consentendo loro di svolgere più lavoro di qualità in meno tempo.

TIM Management è pronta a offrire alle PMI il supporto di Interim Manager che, grazie alla loro esperienza sviluppata in situazioni analoghe, e a competenze verticali sui settori di riferimento, possono aiutare le aziende a sfruttare appieno le loro potenzialità, migliorando le possibilità di raggiungere risultati positivi durante tutte le fasi di cambiamento, sviluppo e ristrutturazione.

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Il Work Well-being Manager pone l’essere umano al centro della gestione delle Risorse Umane

La transizione digitale sta facendo uscire di scena l’essere umano? Tutt’altro: lo sta rimettendo al centro grazie alla richiesta di una maggiore attenzione al benessere sul posto di lavoro.

 

Nella Società 5.0 (concetto nato in Giappone nel lontano 2016), la coesistenza uomo-macchina è la chiave per potenziare l’industria; per questo nel futuro prossimo, è necessario preparare i manager a prevenire e ridurre lo stress da lavoro, e poter gestire sempre più efficacemente il personale aziendale. 

La funzione del manager HR sta assumendo un ruolo sempre più centrale nella definizione della strategia aziendale. In un contesto dove le esigenze dei talenti sono sempre più articolate e differenziate, le Risorse Umane sono chiamate a guidare il cambiamento per evitare che le aziende ne vengano travolte.

È molto difficile per le imprese, soprattutto se manifatturiere, fare propri questi messaggi, ma i progetti di espansione e di crescita devono necessariamente partire da qui: well-being anche negli ambienti di lavoro, smart-working, strumenti di welfare, employer branding e comunicazione costante dei valori aziendali.

Nasce così l’esigenza di inserire nell’organizzazione una figura professionale inedita con l’obiettivo di fissare nuovi standard nel campo del benessere sul posto di lavoro: il Work Well-being Manager.

 

Il manager del futuro

Per l’azienda che si confronta con scenari sempre più inediti e sfidanti è necessario sviluppare una grande capacità di resilienza per essere in grado di affrontare le nuove sfide con gli strumenti e il team adeguati. In questo contesto mutevole il board, o l’imprenditore stesso, debbono saper cogliere tempestivamente i segnali che evidenziano un cattivo stato di salute dell’azienda, prima che sia troppo tardi.

Ma come deve essere un manager resiliente? Quando un Manager esperto viene inserito in una realtà aziendale in sofferenza è in grado di capire immediatamente quali leve possono aiutare i vertici aziendali a identificare soluzioni innovative e formule di business alternative, adeguate alle situazioni e alle opportunità che l’azienda si trova ad affrontare. Per questo, è fondamentale che il Manager del futuro abbia un approccio proattivo; ovvero che sappia identificare le azioni che i manager interni possono operare al fine di ridurre i fattori di crisi e di stress nei lavoratori e nell’azienda.

Visto il forte aumento di problemi personali legati all’ambito lavorativo è sempre più opportuno identificare una figura responsabile del benessere dell’organizzazione: il Work Well-being Manager; un Manager incaricato a garantire che le condizioni di lavoro quotidiane siano eque e il più possibile salutari per ogni persona di un’azienda, in modo che la qualità complessiva della vita sul lavoro migliori all’interno dell’organizzazione.

 

Il profilo professionale del Work Well-being Manager

Il Work Well-being Manager (WWM) può essere descritto come un manager delle Risorse Umane che lavora come supervisore di tutti i manager e dei coordinatori sul posto di lavoro, concentrandosi sugli aspetti che coinvolgono il benessere dei dipendenti e le relazioni tra loro.

Per capire meglio le competenze e le abilità chiave che il WWM dovrebbe possedere e padroneggiare, è opportuno partire dal quadro generale delle competenze di un manager HR: 

 

  • Comunicazione. Le capacità di comunicazione sono essenziali per il manager delle risorse umane, soprattutto quando si tratta di interagire efficacemente con i fornitori esterni, i leader sindacali, i funzionari pubblici, i dipendenti, i potenziali dipendenti e i colleghi. Il manager delle risorse umane sa perfettamente adeguare i contenuti e lo stile della comunicazione al pubblico e alla situazione.
  • Pensiero analitico e critico. Un HR manager deve saper analizzare con competenza tutti i processi decisionali con un potenziale impatto sulle performance, anche in aree differenti. La capacità di analizzare le situazioni e vedere le implicazioni delle decisioni da una prospettiva critica è particolarmente utile per i manager HR. Essi sono anche chiamati a rappresentare l’azienda in questioni che riguardano controversie di lavoro, il che significa che devono essere in grado di far valere in tutte le sedi le ragioni dell’azienda.
  • Capacità di costruire relazioni. Creare un team di lavoro coeso, per raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione e sostenere lo sviluppo della forza lavoro, è una delle competenze professionali più importanti per un manager responsabile delle risorse umane. Creare rapporti interpersonali e trasmettere credibilità ai dipendenti è fondamentale per il successo di un HR manager e, di conseguenza, dell’azienda stessa.
  • Qualità di leadership. Essendo responsabili della creazione di piani strategici per l’organizzazione e per la forza lavoro complessiva, gli HR manager devono possedere abilità di leadership, in particolare nel disegnare e gestire il piano strategico per il team gestionale dell’azienda, anche in presenza di manager di livello gerarchico superiore al proprio.

 

A queste competenze di base, per un WWM, si devono aggiungere specifiche conoscenze, skills e competenze.

 

  1. Le conoscenze si riferiscono alle aree di organizzazione, istruzione, management, leadership ed occupational health psychology; ovvero quell’area interdisciplinare della psicologia che si occupa della salute e della sicurezza dei lavoratori.
  2. Le skills sono classificate come: individuali, di team e organizzative; sono skills relative alla capacità di fornire all’organizzazione struttura e meccanismi operativi efficaci, in particolare identificando le priorità e le deleghe necessarie al buon funzionamento dell’organizzazione, garantendo a tutti i dipendenti responsabilità chiare e autonomia nello svolgimento dei compiti.
  3. Le competenze manageriali richieste sono professionali, ma anche e soprattutto sociali e personali.

 

La figura professionale del Work Well-being Manager è sicuramente nuova e nasce con l’obiettivo di fissare standard elevati nel campo del benessere sul posto di lavoro. Può essere una figura manageriale separata o essere integrata nelle responsabilità del HR Director.

Il ruolo del manager delle Risorse Umane o più specificamente, del WWB manager, non è solo quello di essere un buon comunicatore verso i dipendenti ma anche quello di saper agire efficacemente come intermediario tra i dipendenti e i manager. 

La creazione della cultura del benessere è orientata ai risultati: sono gli uomini e le donne del management team che fanno succedere le cose in azienda e che quindi diventano gli artefici e i motori del cambiamento.

 

In conclusione, l’allineamento del team manageriale all’obiettivo è fondamentale e permette all’azienda di fare il salto di qualità, migliorando non solo il benessere ma anche l’engagement dei dipendenti, la formazione, la capacità di leadership e la cultura del rispetto dell’individuo e della sostenibilità nel business.

Per attivare il cambiamento può essere opportuno inserire un Interim Manager che si occupi del benessere del personale, oltre che supportare la gestione delle risorse umane. Questa è una soluzione particolarmente indicata per tutte quelle PMI in difficoltà che spesso non riescono a riconoscere gli errori commessi, o che raramente hanno nella loro organizzazione le competenze adeguate ad affrontare i periodi di crisi, discontinuità e stress.

 

Per questo motivo TIM Management offre il supporto di Manager HR ad Interim con esperienza nel settore, che hanno già vissuto e superato con successo situazioni analoghe, e che sono in grado di fornire una vera e propria guida a tutte quelle aziende che hanno bisogno di gestire transazioni e ristrutturazioni dell’ufficio del personale esistente, o di disegnare e avviare diversi progetti che riguardino il personale (i.e. welfare aziendale, regolamenti, lavoro agile, comunicazione interna), o aspetti meramente organizzativi, anche in tempi brevissimi.

Contattaci per maggiori informazioni.

Assumere per affrontare la digitalizzazione e la crisi, è davvero questa l’unica soluzione per le HR?

Aumentare il livello di competenze dei manager e l’efficienza dell’organizzazione, per affrontare crisi e digitalizzazione: tattiche e strumenti alternativi al recruiting.

Prendiamo spunto da uno studio globale di McKinsey (1) per affrontare il tema dell’adeguamento delle organizzazioni alle nuove sfide che la digitalizzazione e la crisi pandemica stanno ponendo a chi si occupa di Risorse Umane.

E’ indubbio che la gran parte delle aziende non trova nel management interno tutte le competenze necessarie ad affrontare con successo questa fase storica che è, allo stesso tempo, fonte di pericoli e di grandi opportunità. Questo è ancora più valido per le aziende tradizionali, con una struttura manageriale orientata alla gestione del business esistente; digital transformation e crisi pandemica possono rappresentare per loro un boccone davvero indigesto e creare una situazione inaspettata, sconosciuta e potenzialmente dirompente.

La ricerca di McKinsey non fa altro che supportare queste preoccupazioni: il 43% delle organizzazioni manifesta un gap nelle competenze manageriali interne, e un altro 44% si aspetta di riscontrarlo nei prossimi 5 anni; praticamente un plebiscito nel valutare insufficiente  la capacità di competere con successo della propria azienda.

Il 30% delle aziende dichiara che più del 25% dei manager non ha un profilo adatto all’evoluzione del ruolo e un altro 41% ritiene che i manager ‘a rischio’ siano tra l’11 e il 25% del totale. Un campanello di allarme fortissimo per i manager ma soprattutto per chi è responsabile dell’organizzazione e dei risultati aziendali.

I settori più colpiti da questa mancanza di competenze manageriali sono i servizi finanziari, l’high tech e le telecomunicazioni mentre quelli che si ritengono più al riparo dal ‘rischio obsolescenza manageriale ’ sono i servizi sanitari e le farmaceutiche.

Le aree di business percepite come più critiche sono naturalmente quelle legate all’analisi dei dati e alla competenze IT e digital. Più sorprendente è la percezione di un ampio gap di competenze nei C-Level executives, che sono considerati più a rischio di  aree apparentemente più critiche come le risorse umane, il marketing e le vendite. Ma i gap manageriali sono percepiti come significativi in tutte le aree di business, dal prodotto alla ricerca e sviluppo fino al customer service, alle operations e al finance.

Non sorprende quindi che quasi tutti i rispondenti ritengono la potenziale mancanza di competenze chiave una delle priorità da affrontare per la loro organizzazione; un terzo di loro la classifica già come una delle tre priorità più importanti. Al contrario, relativamente pochi di loro giudicano la loro organizzazione preparata ad affrontare questo problema e solo il 28% dichiara che sono già in atto politiche e azioni per mettere riparo alla mancanza di competenze chiave, nel presente e nel futuro.

Un freno all’attuazione di azioni correttive è certamente la difficoltà di valutare a fondo le competenze già presenti all’interno dell’organizzazione e di identificare il profilo dei ruoli che saranno interessati da una forte discontinuità nel breve termine. 

Ciò nonostante, la maggior parte delle organizzazioni sta già da tempo operando in maniera virtuosa per prevenire e colmare i gap nelle competenze del management e mantenere la propria azienda competitiva e in grado di affrontare con successo il periodo di forte discontinuità che stiamo affrontando e che continuerà a far sentire i suoi effetti per molti anni. 

La survey suggerisce che negli ultimi 5 anni la tattica globalmente più utilizzata per aumentare le competenze aziendali è stata quella di assumere nuove risorse, che siano già  in possesso delle competenze deficitarie; infatti i due terzi delle aziende interpellate hanno inserito nuovi profili nell’organizzazione. Questa tattica è sempre accompagnata da una o più azioni condotte in parallelo che vanno a disegnare un mix ben articolato di azioni correttive molto interessante da esaminare.

Ad esempio, in ben più di metà delle organizzazioni sono stati avviati potenti programmi di formazione mirati ad aumentare le competenze del management interno, portando nuove conoscenze e modalità di gestione più moderne all’interno dell’organizzazione. Non meno numerose sono le azioni di cambio di ruolo e mansione per il management e l’inserimento di Interim e Temporary Manager a contratto. Quest ultima modalità di  colmare il gap di competenze è tanto più diffusa, quanto più è evoluto il mercato del lavoro e quanto più è disponibile un’ampia offerta di manager specializzati ed esperti in grado di coprire ruoli apicali e far crescere rapidamente il livello di competenza manageriale dell’azienda.

Non sorprende quindi che questa modalità sia più diffusa negli Stati Uniti, dove il 57% delle aziende è ricorsa all’utilizzo di Interim Manager nei 5 anni passati, seguita da Asia ed Europa, con il 50%, mentre questa è un’azione meno comune nei mercati in via di sviluppo e in Sud America.

Nel prossimo futuro questo quadro è destinato a cambiare radicalmente, spostando il peso delle riorganizzazioni verso la formazione e la riqualificazione dei manager nel ruolo e l’inserimento di Temporary Manager, a scapito delle nuove assunzioni, ritenute, da un sempre crescente numero di Responsabili HR, meno flessibili e più rischiose per l’organizzazione.

I programmi di formazione e reskilling, che più di due terzi delle organizzazioni dichiara di voler attuare nei prossimi 5 anni, si focalizzeremo soprattutto nel facilitare l’implementazione di nuovi modelli di business e sulle modalità di ridisegno della strategia aziendale; insieme a un ampio sforzo di riqualificazione tecnologica e digitale, necessaria in tutte le aree funzionali.

Questo è evidente dall’analisi delle priorità per la formazione espresse dai rispondenti: la formazione in area strategica, nella gestione del personale e nella leadership sono in testa alla lista, seguite dal project management, dall’analisi dei dati e dalla creazione di modelli analitici e previsionali evoluti per le performance aziendali.

La grande difficoltà per chi si occupa di HR è quella di bilanciare i percorsi di riqualificazione con la necessità di garantire la piena operatività delle funzioni aziendali; bilanciamento reso ancora più critico dalla situazione di oggettiva difficoltà che molti settori di business stanno affrontando durante questo lungo periodo di discontinuità. 

La scelta di investire nella formazione sembra dare risultati concreti per chi ha già intrapreso questa strada. La metà delle aziende interpellate afferma di aver riscontrato dei miglioramenti tangibili nei risultati aziendali, dopo aver intrapreso un percorso di reskilling per i dipendenti, oltre a vedere un robusto incremento nella soddisfazione del personale e nella customer experience.

L’Interim Manager: un modo smart per aumentare le competenze manageriali e migliorare l’operatività aziendale

Di fronte alle sfide poste all’imprenditore e a chi gestisce le Risorse Umane, l’utilizzo di Interim Manager esperti può rivelarsi una scelta vincente per l’azienda. Questo perché una risorsa esperta può supportare e guidare l’organizzazione con successo attraverso la crisi e la discontinuità,  senza richiedere investimenti importanti e potenzialmente rischiosi, in management permanente o attività di consulenza esterna:

  • Aiutando a ripensare l’azienda, adattandola alle nuove situazioni di mercato e concorrenza, portando un’estrema competenza e nuove professionalità all’interno dell’organizzazione.
  • Scegliendo gli strumenti più adatti a semplificare i processi e supportare la gestione del cambiamento. 
  • Collaborando proattivamente con la direzione e con tutti i reparti, sia funzionali che operativi, non essendo in competizione con il management ma orientato al risultato.
  • Assicurando che tutti i manager dell’azienda siano coinvolti nell’adozione e nell’implementazione del cambiamento; elevando al tempo stesso le competenze interne, così che, alla fine del suo incarico, il management sarà meglio attrezzato per gestire il cambiamento e guidare lo sviluppo.

Il ruolo di un Interim Manager diventa essenziale quando l’azienda decide di anticipare il cambiamento, intraprendendo una riorganizzazione profonda, e adottando una nuova visione e nuovi obiettivi a medio termine. 

In questi casi, la presenza di una risorsa esperta, con solide competenze nelle aree più critiche, può facilitare la riqualificazione del management interno, garantendo un’operatività efficace durante i percorsi di reskilling, amplificando il loro impatto, velocizzando l’implementazione dei nuovi processi e l’adozione di nuove professionalità.

 

 

Domenico Costa è uno dei fondatori di TIM Management, dove si è occupato di diversi e numerosi interventi di ristrutturazione aziendale. Durante la sua carriera ha operato come Advisor di fondi e come Amministratore Delegato di importanti realtà industriali. Ha gestito acquisizioni di Aziende in diversi settori industriali.. 

 

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo, che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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