Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Il Work Well-being Manager pone l’essere umano al centro della gestione delle Risorse Umane

La transizione digitale sta facendo uscire di scena l’essere umano? Tutt’altro: lo sta rimettendo al centro grazie alla richiesta di una maggiore attenzione al benessere sul posto di lavoro.

 

Nella Società 5.0 (concetto nato in Giappone nel lontano 2016), la coesistenza uomo-macchina è la chiave per potenziare l’industria; per questo nel futuro prossimo, è necessario preparare i manager a prevenire e ridurre lo stress da lavoro, e poter gestire sempre più efficacemente il personale aziendale. 

La funzione del manager HR sta assumendo un ruolo sempre più centrale nella definizione della strategia aziendale. In un contesto dove le esigenze dei talenti sono sempre più articolate e differenziate, le Risorse Umane sono chiamate a guidare il cambiamento per evitare che le aziende ne vengano travolte.

È molto difficile per le imprese, soprattutto se manifatturiere, fare propri questi messaggi, ma i progetti di espansione e di crescita devono necessariamente partire da qui: well-being anche negli ambienti di lavoro, smart-working, strumenti di welfare, employer branding e comunicazione costante dei valori aziendali.

Nasce così l’esigenza di inserire nell’organizzazione una figura professionale inedita con l’obiettivo di fissare nuovi standard nel campo del benessere sul posto di lavoro: il Work Well-being Manager.

 

Il manager del futuro

Per l’azienda che si confronta con scenari sempre più inediti e sfidanti è necessario sviluppare una grande capacità di resilienza per essere in grado di affrontare le nuove sfide con gli strumenti e il team adeguati. In questo contesto mutevole il board, o l’imprenditore stesso, debbono saper cogliere tempestivamente i segnali che evidenziano un cattivo stato di salute dell’azienda, prima che sia troppo tardi.

Ma come deve essere un manager resiliente? Quando un Manager esperto viene inserito in una realtà aziendale in sofferenza è in grado di capire immediatamente quali leve possono aiutare i vertici aziendali a identificare soluzioni innovative e formule di business alternative, adeguate alle situazioni e alle opportunità che l’azienda si trova ad affrontare. Per questo, è fondamentale che il Manager del futuro abbia un approccio proattivo; ovvero che sappia identificare le azioni che i manager interni possono operare al fine di ridurre i fattori di crisi e di stress nei lavoratori e nell’azienda.

Visto il forte aumento di problemi personali legati all’ambito lavorativo è sempre più opportuno identificare una figura responsabile del benessere dell’organizzazione: il Work Well-being Manager; un Manager incaricato a garantire che le condizioni di lavoro quotidiane siano eque e il più possibile salutari per ogni persona di un’azienda, in modo che la qualità complessiva della vita sul lavoro migliori all’interno dell’organizzazione.

 

Il profilo professionale del Work Well-being Manager

Il Work Well-being Manager (WWM) può essere descritto come un manager delle Risorse Umane che lavora come supervisore di tutti i manager e dei coordinatori sul posto di lavoro, concentrandosi sugli aspetti che coinvolgono il benessere dei dipendenti e le relazioni tra loro.

Per capire meglio le competenze e le abilità chiave che il WWM dovrebbe possedere e padroneggiare, è opportuno partire dal quadro generale delle competenze di un manager HR: 

 

  • Comunicazione. Le capacità di comunicazione sono essenziali per il manager delle risorse umane, soprattutto quando si tratta di interagire efficacemente con i fornitori esterni, i leader sindacali, i funzionari pubblici, i dipendenti, i potenziali dipendenti e i colleghi. Il manager delle risorse umane sa perfettamente adeguare i contenuti e lo stile della comunicazione al pubblico e alla situazione.
  • Pensiero analitico e critico. Un HR manager deve saper analizzare con competenza tutti i processi decisionali con un potenziale impatto sulle performance, anche in aree differenti. La capacità di analizzare le situazioni e vedere le implicazioni delle decisioni da una prospettiva critica è particolarmente utile per i manager HR. Essi sono anche chiamati a rappresentare l’azienda in questioni che riguardano controversie di lavoro, il che significa che devono essere in grado di far valere in tutte le sedi le ragioni dell’azienda.
  • Capacità di costruire relazioni. Creare un team di lavoro coeso, per raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione e sostenere lo sviluppo della forza lavoro, è una delle competenze professionali più importanti per un manager responsabile delle risorse umane. Creare rapporti interpersonali e trasmettere credibilità ai dipendenti è fondamentale per il successo di un HR manager e, di conseguenza, dell’azienda stessa.
  • Qualità di leadership. Essendo responsabili della creazione di piani strategici per l’organizzazione e per la forza lavoro complessiva, gli HR manager devono possedere abilità di leadership, in particolare nel disegnare e gestire il piano strategico per il team gestionale dell’azienda, anche in presenza di manager di livello gerarchico superiore al proprio.

 

A queste competenze di base, per un WWM, si devono aggiungere specifiche conoscenze, skills e competenze.

 

  1. Le conoscenze si riferiscono alle aree di organizzazione, istruzione, management, leadership ed occupational health psychology; ovvero quell’area interdisciplinare della psicologia che si occupa della salute e della sicurezza dei lavoratori.
  2. Le skills sono classificate come: individuali, di team e organizzative; sono skills relative alla capacità di fornire all’organizzazione struttura e meccanismi operativi efficaci, in particolare identificando le priorità e le deleghe necessarie al buon funzionamento dell’organizzazione, garantendo a tutti i dipendenti responsabilità chiare e autonomia nello svolgimento dei compiti.
  3. Le competenze manageriali richieste sono professionali, ma anche e soprattutto sociali e personali.

 

La figura professionale del Work Well-being Manager è sicuramente nuova e nasce con l’obiettivo di fissare standard elevati nel campo del benessere sul posto di lavoro. Può essere una figura manageriale separata o essere integrata nelle responsabilità del HR Director.

Il ruolo del manager delle Risorse Umane o più specificamente, del WWB manager, non è solo quello di essere un buon comunicatore verso i dipendenti ma anche quello di saper agire efficacemente come intermediario tra i dipendenti e i manager. 

La creazione della cultura del benessere è orientata ai risultati: sono gli uomini e le donne del management team che fanno succedere le cose in azienda e che quindi diventano gli artefici e i motori del cambiamento.

 

In conclusione, l’allineamento del team manageriale all’obiettivo è fondamentale e permette all’azienda di fare il salto di qualità, migliorando non solo il benessere ma anche l’engagement dei dipendenti, la formazione, la capacità di leadership e la cultura del rispetto dell’individuo e della sostenibilità nel business.

Per attivare il cambiamento può essere opportuno inserire un Interim Manager che si occupi del benessere del personale, oltre che supportare la gestione delle risorse umane. Questa è una soluzione particolarmente indicata per tutte quelle PMI in difficoltà che spesso non riescono a riconoscere gli errori commessi, o che raramente hanno nella loro organizzazione le competenze adeguate ad affrontare i periodi di crisi, discontinuità e stress.

 

Per questo motivo TIM Management offre il supporto di Manager HR ad Interim con esperienza nel settore, che hanno già vissuto e superato con successo situazioni analoghe, e che sono in grado di fornire una vera e propria guida a tutte quelle aziende che hanno bisogno di gestire transazioni e ristrutturazioni dell’ufficio del personale esistente, o di disegnare e avviare diversi progetti che riguardino il personale (i.e. welfare aziendale, regolamenti, lavoro agile, comunicazione interna), o aspetti meramente organizzativi, anche in tempi brevissimi.

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Assumere per affrontare la digitalizzazione e la crisi, è davvero questa l’unica soluzione per le HR?

Aumentare il livello di competenze dei manager e l’efficienza dell’organizzazione, per affrontare crisi e digitalizzazione: tattiche e strumenti alternativi al recruiting.

Prendiamo spunto da uno studio globale di McKinsey (1) per affrontare il tema dell’adeguamento delle organizzazioni alle nuove sfide che la digitalizzazione e la crisi pandemica stanno ponendo a chi si occupa di Risorse Umane.

E’ indubbio che la gran parte delle aziende non trova nel management interno tutte le competenze necessarie ad affrontare con successo questa fase storica che è, allo stesso tempo, fonte di pericoli e di grandi opportunità. Questo è ancora più valido per le aziende tradizionali, con una struttura manageriale orientata alla gestione del business esistente; digital transformation e crisi pandemica possono rappresentare per loro un boccone davvero indigesto e creare una situazione inaspettata, sconosciuta e potenzialmente dirompente.

La ricerca di McKinsey non fa altro che supportare queste preoccupazioni: il 43% delle organizzazioni manifesta un gap nelle competenze manageriali interne, e un altro 44% si aspetta di riscontrarlo nei prossimi 5 anni; praticamente un plebiscito nel valutare insufficiente  la capacità di competere con successo della propria azienda.

Il 30% delle aziende dichiara che più del 25% dei manager non ha un profilo adatto all’evoluzione del ruolo e un altro 41% ritiene che i manager ‘a rischio’ siano tra l’11 e il 25% del totale. Un campanello di allarme fortissimo per i manager ma soprattutto per chi è responsabile dell’organizzazione e dei risultati aziendali.

I settori più colpiti da questa mancanza di competenze manageriali sono i servizi finanziari, l’high tech e le telecomunicazioni mentre quelli che si ritengono più al riparo dal ‘rischio obsolescenza manageriale ’ sono i servizi sanitari e le farmaceutiche.

Le aree di business percepite come più critiche sono naturalmente quelle legate all’analisi dei dati e alla competenze IT e digital. Più sorprendente è la percezione di un ampio gap di competenze nei C-Level executives, che sono considerati più a rischio di  aree apparentemente più critiche come le risorse umane, il marketing e le vendite. Ma i gap manageriali sono percepiti come significativi in tutte le aree di business, dal prodotto alla ricerca e sviluppo fino al customer service, alle operations e al finance.

Non sorprende quindi che quasi tutti i rispondenti ritengono la potenziale mancanza di competenze chiave una delle priorità da affrontare per la loro organizzazione; un terzo di loro la classifica già come una delle tre priorità più importanti. Al contrario, relativamente pochi di loro giudicano la loro organizzazione preparata ad affrontare questo problema e solo il 28% dichiara che sono già in atto politiche e azioni per mettere riparo alla mancanza di competenze chiave, nel presente e nel futuro.

Un freno all’attuazione di azioni correttive è certamente la difficoltà di valutare a fondo le competenze già presenti all’interno dell’organizzazione e di identificare il profilo dei ruoli che saranno interessati da una forte discontinuità nel breve termine. 

Ciò nonostante, la maggior parte delle organizzazioni sta già da tempo operando in maniera virtuosa per prevenire e colmare i gap nelle competenze del management e mantenere la propria azienda competitiva e in grado di affrontare con successo il periodo di forte discontinuità che stiamo affrontando e che continuerà a far sentire i suoi effetti per molti anni. 

La survey suggerisce che negli ultimi 5 anni la tattica globalmente più utilizzata per aumentare le competenze aziendali è stata quella di assumere nuove risorse, che siano già  in possesso delle competenze deficitarie; infatti i due terzi delle aziende interpellate hanno inserito nuovi profili nell’organizzazione. Questa tattica è sempre accompagnata da una o più azioni condotte in parallelo che vanno a disegnare un mix ben articolato di azioni correttive molto interessante da esaminare.

Ad esempio, in ben più di metà delle organizzazioni sono stati avviati potenti programmi di formazione mirati ad aumentare le competenze del management interno, portando nuove conoscenze e modalità di gestione più moderne all’interno dell’organizzazione. Non meno numerose sono le azioni di cambio di ruolo e mansione per il management e l’inserimento di Interim e Temporary Manager a contratto. Quest ultima modalità di  colmare il gap di competenze è tanto più diffusa, quanto più è evoluto il mercato del lavoro e quanto più è disponibile un’ampia offerta di manager specializzati ed esperti in grado di coprire ruoli apicali e far crescere rapidamente il livello di competenza manageriale dell’azienda.

Non sorprende quindi che questa modalità sia più diffusa negli Stati Uniti, dove il 57% delle aziende è ricorsa all’utilizzo di Interim Manager nei 5 anni passati, seguita da Asia ed Europa, con il 50%, mentre questa è un’azione meno comune nei mercati in via di sviluppo e in Sud America.

Nel prossimo futuro questo quadro è destinato a cambiare radicalmente, spostando il peso delle riorganizzazioni verso la formazione e la riqualificazione dei manager nel ruolo e l’inserimento di Temporary Manager, a scapito delle nuove assunzioni, ritenute, da un sempre crescente numero di Responsabili HR, meno flessibili e più rischiose per l’organizzazione.

I programmi di formazione e reskilling, che più di due terzi delle organizzazioni dichiara di voler attuare nei prossimi 5 anni, si focalizzeremo soprattutto nel facilitare l’implementazione di nuovi modelli di business e sulle modalità di ridisegno della strategia aziendale; insieme a un ampio sforzo di riqualificazione tecnologica e digitale, necessaria in tutte le aree funzionali.

Questo è evidente dall’analisi delle priorità per la formazione espresse dai rispondenti: la formazione in area strategica, nella gestione del personale e nella leadership sono in testa alla lista, seguite dal project management, dall’analisi dei dati e dalla creazione di modelli analitici e previsionali evoluti per le performance aziendali.

La grande difficoltà per chi si occupa di HR è quella di bilanciare i percorsi di riqualificazione con la necessità di garantire la piena operatività delle funzioni aziendali; bilanciamento reso ancora più critico dalla situazione di oggettiva difficoltà che molti settori di business stanno affrontando durante questo lungo periodo di discontinuità. 

La scelta di investire nella formazione sembra dare risultati concreti per chi ha già intrapreso questa strada. La metà delle aziende interpellate afferma di aver riscontrato dei miglioramenti tangibili nei risultati aziendali, dopo aver intrapreso un percorso di reskilling per i dipendenti, oltre a vedere un robusto incremento nella soddisfazione del personale e nella customer experience.

L’Interim Manager: un modo smart per aumentare le competenze manageriali e migliorare l’operatività aziendale

Di fronte alle sfide poste all’imprenditore e a chi gestisce le Risorse Umane, l’utilizzo di Interim Manager esperti può rivelarsi una scelta vincente per l’azienda. Questo perché una risorsa esperta può supportare e guidare l’organizzazione con successo attraverso la crisi e la discontinuità,  senza richiedere investimenti importanti e potenzialmente rischiosi, in management permanente o attività di consulenza esterna:

  • Aiutando a ripensare l’azienda, adattandola alle nuove situazioni di mercato e concorrenza, portando un’estrema competenza e nuove professionalità all’interno dell’organizzazione.
  • Scegliendo gli strumenti più adatti a semplificare i processi e supportare la gestione del cambiamento. 
  • Collaborando proattivamente con la direzione e con tutti i reparti, sia funzionali che operativi, non essendo in competizione con il management ma orientato al risultato.
  • Assicurando che tutti i manager dell’azienda siano coinvolti nell’adozione e nell’implementazione del cambiamento; elevando al tempo stesso le competenze interne, così che, alla fine del suo incarico, il management sarà meglio attrezzato per gestire il cambiamento e guidare lo sviluppo.

Il ruolo di un Interim Manager diventa essenziale quando l’azienda decide di anticipare il cambiamento, intraprendendo una riorganizzazione profonda, e adottando una nuova visione e nuovi obiettivi a medio termine. 

In questi casi, la presenza di una risorsa esperta, con solide competenze nelle aree più critiche, può facilitare la riqualificazione del management interno, garantendo un’operatività efficace durante i percorsi di reskilling, amplificando il loro impatto, velocizzando l’implementazione dei nuovi processi e l’adozione di nuove professionalità.

 

 

Domenico Costa è uno dei fondatori di TIM Management, dove si è occupato di diversi e numerosi interventi di ristrutturazione aziendale. Durante la sua carriera ha operato come Advisor di fondi e come Amministratore Delegato di importanti realtà industriali. Ha gestito acquisizioni di Aziende in diversi settori industriali.. 

 

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo, che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

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