Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

CHANGE MANAGER: Cosa fa e perché per alcune aziende è un ruolo molto importante

In quest’era di continua espansione, sia territoriale che multimediale, il vero dilemma per un’azienda e soprattutto per una PMI, risiede nel saper dove investire le proprie risorse limitate in modo efficace per garantirsi uno spazio nel futuro mercato che diventa sempre più complesso e competitivo. 

E’ fondamentale per le PMI ma non dimentichiamo che anche molte grandi realtà, come ad esempio Nokia, Kodak, Blockbuster, Blackberry e Polaroid, non hanno saputo innovare il loro business model tempestivamente e in modo efficace e sono finite disastrosamente fuori mercato. 

Onde evitare che questo accada, in momenti di alta criticità è importante che intervenga una figura come il change manager, esperto nella gestione del cambiamento, che interviene in favore dell’azienda per gestire al meglio qualsiasi criticità e traghettarla verso un futuro di successo e crescita.

In quest’epoca tecnologica la più grande sfida per le aziende rimane quella di innovare in maniera organica e integrata. L’azienda può anche introdurre tecnologie e nuovi processi, ma se non vengono integrati agilmente nel sistema, rimangono azioni estemporanee e spesso inutili.

All’interno delle aziende, Il più grande blocco strutturale all’innovazione e al cambiamento è rappresentato dalla cultura e dal comportamento aziendale. La reticenza delle persone al cambiamento è la causa maggiore per la mancanza di innovazione all’interno di un’organizzazione. 

Un’azienda può anche introdurre degli strumenti digitali al suo interno come ad esempio: introdurre test di digitalizzazione per i propri dipendenti, inserire nell’organizzazione la figura di innovation manager, usare piattaforme digitali, ma senza una strategia efficace rivolta al cambiamento e perseguita con determinazione, lo sforzo rimane vano. 

Il ruolo del Change Manager consiste proprio in questo: costruire una cultura e un percorso orientati al cambiamento per raggiungere l’obiettivo desiderato. 

 

I 4 principi fondamentali ai quali fare riferimento secondo il modello 4P sono:

  • People: cambiare la mentalità e la cultura delle persone, l’aspetto più difficile.
  • Process: rivedere tutti i processi in ottica digitale e moderna.
  • Platform: introdurre in azienda tutti gli strumenti ed i tool digitali necessari per migliorare la produttività.
  • Place: ripensare tutti i luoghi di lavoro in un’ottica di activity based workspace e smart working.

People

L’aspetto sicuramente cruciale e più difficile da cambiare. Un progetto di change management deve partire dalle persone e dalla loro mentalità. La psicologia sociale, applicabile ai dipendenti, raffigura come estremi due tipologie di mentalità: Il fixed mindset ed il growth mindset. 

Nel primo caso si ha davanti una mentalità poco propensa alle novità e conservativa mentre nel secondo caso si ha una volontà e una propensione spontanea ad imparare ed evolvere, anche oltre le reali necessità aziendali. 

Il ruolo del Change Manager è quello fondamentale di operare come driver per livellare questi due opposti e spingere l’intera azienda verso il cambiamento uniformemente e in maniera organica. 

Operativamente si tratta di concordare e implementare obiettivi e tempi e allocare budget, condividendo il percorso di sviluppo con l’intera organizzazione al fine di abbattere qualsiasi tipo di obiezione e resistenza, dimostrando i benefici non solo aziendali, ma anche personali che si possono ottenere nel proprio lavoro, grazie al cambiamento e alla modernizzazione di processi e strumenti.

 

Process

Senza l’introduzione di nuovi  processi, anche la tecnologia più efficace è destinata a fallire. Molte aziende investono in piattaforme e soluzioni IT,  senza efficacemente delineare i loro processi e quindi la loro ottimizzazione; uno degli esempi più frequenti è l’introduzione in azienda di un ERP di nuova generazione senza la guida di un manager esperto che sappia come coinvolgere nel processo tutte le funzioni e quali sono le aree critiche da monitorare con attenzione.

Un piano di change management invece include una valutazione accurata delle procedure e di conseguenza la scelta e l’implementazione di soluzioni efficaci.  

 

Platform

Stiamo assistendo negli ultimi anni all’introduzione sempre più diffusa e capillare di nuove piattaforme tecnologiche, più o meno integrate, che aiutano a svolgere più efficacemente il lavoro in azienda. Non adottare tempestivamente soluzioni tecnologiche avanzate significherebbe compromettere pesantemente l’efficienza aziendale, diminuendo inevitabilmente la capacità di competere sui mercati.

Senza dimenticare che la comunicazione e la vendita avvengono sempre di più tramite canali digitali e non prioritizzare in questa direzione andrebbe a scapito dell’azienda e delle sue performance.

L’azione di un Change Manager interviene anche in questo ambito, facilitando l’introduzione di piattaforme tecnologiche in linea con il processo di cambiamento ed evoluzione e rendendo più accessibili dati e comunicazioni all’interno dell’organizzazione.

 

Place

L’uso di piattaforme digitali consente anche di rivalutare l’intero paradigma sociale e organizzativo dell’impresa e della gestione delle risorse umane. 

Molte aziende hanno constatato i benefici dello Smart Working tra cui:

  • Performance in linea o anche migliorate
  • Maggiore efficienza e risparmio
  • Soddisfazione del lavoratore

Questo cambiamento, che molte realtà aziendali in tutti i settori hanno giocoforza sperimentato negli ultimi anni, può essere la spinta al cambiamento anche su altri fronti grazie anche al supporto di un Change Manager.

Il Change Manager, possiamo concludere, è una figura fondamentale per molte aziende, non necessariamente in un periodo di crisi, che hanno bisogno di una visione e di una  consulenza esterna per affrontare il cambiamento in atto al meglio, volgendo a proprio vantaggio la nuova situazione competitiva.

 

Molti dipendenti mostrano resistenza al cambiamento un po’ per natura e un po’ perché temono in alcuni casi che il loro ruolo sarà sostituito o sminuito dalla tecnologia. Rendendo i dipendenti partecipi al cambiamento e spiegando tutti i passaggi e i benefici che si possono ottenere, si attutisce in anticipo l’attrito culturale che potrebbe manifestarsi. 

 

Le persone temono l’ignoto e l’incertezza ed avere una strategia chiara e una leadership in grado di portarla a termine, riduce drasticamente queste paure. Inserire un Change Manager, anche temporaneamente, per implementare una strategia non solo conferisce stabilità e sicurezza ai dipendenti, ma garantisce il successo delle nuove linee strategiche e dell’implementazione delle tecnologie adeguate.

 

In questo modo si abbreviano i termini e si facilita la transizione, aumentando complessivamente la fiducia nel top management e negli stakeholders.

 

Per un imprenditore, alle prese con la gestione quotidiana della propria azienda, diventa spesso difficile concentrarsi su tutti gli aspetti che renderebbero ancora più sana e fertile la propria azienda, anche per la mancanza di alcune competenze nell’organizzazione. 

Per questo reclutare un Interim Manager specializzato nel cambiamento, un Change Manager esperto e specializzato nel settore di appartenenza dell’azienda, potrebbe essere la garanzia per il successo aziendale e per tracciare una direzione profonda e duratura per l’azienda, elevando anche le competenze del management interno e aumentando la capacità di innovare e competere nel medio periodo. 

TIM Management può aiutare proprio in questo, fornendo un Change Manager in tempi brevi che possa assistere l’organizzazione in un passaggio transizionale, qualunque esso sia, così delicato al suo interno. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’evoluzione del CFO: da operativo a strategico

La figura del Chief Financial Officer è una figura chiave all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione.  È una figura che con il tempo si è dovuta adattare passando da un ruolo prettamente contabile ed operativo ad un ruolo più manageriale e decisionale. 

L’evoluzione di strumenti e tecnologie, con innovazioni che hanno stravolto ed evoluto le modalità di fare impresa, ha fatto sì che anche questa figura si sia dovuta adattare, assumendo un ruolo più decisionale, dotandosi di strumenti evoluti di analisi dei dati consuntivi e previsionali, e integrandosi in maniera più olistica nell’ecosistema aziendale. 

Sorge sempre più spesso la necessità, anche per le piccole e medie imprese, di dotarsi di un buon CFO per poter prendere migliori decisioni strategiche, sfruttando meglio i propri dati analitici. 

 

CFO – DALL’OPERATIVO ALLO STRATEGICO

Tradizionalmente la figura del CFO si associava prevalentemente ad un ruolo di contabilità, amministrazione e controllo di gestione, nei casi più evoluti, e le sue competenze fondamentali erano competenze tecniche, come ad esempio il controllo del cash flow e della liquidità oppure la responsabilità e competenza sui dati amministrativi/fiscali. 

Oggigiorno non è più così. Il CFO unisce le sue competenze ad un approccio strategico, contribuendo in modo diretto alla guida dell’azienda, diventando a tutti gli effetti, il braccio destro dell’imprenditore. Grazie ad una visione a 360 gradi sull’azienda e sui diversi dipartimenti, il nuovo CFO riesce a tenere sotto controllo tutti i nodi decisionali, sostenendo le sue scelte in modo analitico e professionale e facilitando la strategia di business. 

 

IL RUOLO E LE RESPONSABILITÀ’ DEL CFO

Un modo per comprendere le macroaree di operatività del CFO è di utilizzare il metodo delle 3C skills: 

  • capacità di Calcolare ed analizzare la performance dell’azienda  
  • competenza nel Coordinare il processo decisionale interno dell’azienda
  • avere la padronanza nel Comunicare e diffondere sia internamente che esternamente le decisioni finanziarie e le performance aziendali 

Le responsabilità e le funzioni del CFO possono variare a seconda della realtà nella quale opera che può spaziare da una realtà industriale consolidata a una startup, (in questo caso avrà il compito di costruire una vera e propria struttura aziendale) e varia anche in funzione del settore nel quale l’azienda opera e delle dimensioni dell’azienda.

A prescindere dal tipo di organizzazione in cui si trova,  l’obiettivo del CFO sarà sempre quello di guidare e indirizzare la strategia di business, spingendo l’azienda ad investire nelle giuste opportunità.

I compiti specifici che un Chief Financial Officer svolge si possono riassumere in:

  • Gestione dei dati finanziari, includendo la redazione e presentazione di rapporti e bilanci per valutare la performance dell’azienda
  • Gestione del budget e del sistema di previsione degli andamenti del mercato e dei prodotti e servizi
  • Controllo di gestione e corretta allocazione di ricavi e costi per linea di business e articolo
  • Gestione della cassa e dei tempi di incasso e pagamento
  • Rapporto con le istituzioni finanziarie 
  • Supervisione dei processi finanziari aziendali
  • Gestione della relazione tra l’azienda e i suoi azionisti
  • Collaborare con gli avvocati e gli advisor durante i processi di fusione e acquisizione dell’azienda.
  • Valutare le opportunità di espansione ed M&A
  • Supervisione del rispetto delle norme e delle leggi nelle attività economiche
  • Minimizzare spese e perdite
  • Monitorare gli eventi che possono incidere sullo stato finanziario della società

 

CFO 4.0 NELL’ ERA TECNOLOGICA 

La figura del CFO si è adattata all’innovazione tecnologica, oggi è sempre più fondamentale che conosca e a volte sappia utilizzare le nuove tecnologie digitali.  

In questo nuovo scenario il Chief Financial Officer ha un ruolo sempre più rilevante nelle conduzione dell’azienda avvicinandosi e affiancandosi sempre di più alla direzione dell’azienda. Le sue funzioni principali risiedono nel monitoraggio delle performance aziendali, nella previsione e gestione dei rischi alla quale l’organizzazione è esposta e nel garantire un flusso corretto e condiviso delle informazioni tra le diverse aree e funzioni interne. 

Il suo metodo di lavoro viene spesso definito “data-centrico” (una traduzione letterale dall’inglese che solo parzialmente ne definisce il metodo). L’uso di Big data,può migliorare il processo di valutazione della gestione aziendale e le relative analisi ottimizzando l’operatività dell’azienda e portando a  migliori decisioni strategiche. 

Un altro strumento che facilita il lavoro del CFO e migliora la performance aziendale è l’uso di RPA (robotic process automation). Questa tecnologia consente sia un alleggerimento delle attività ripetitive e quindi una riduzione dei costi, che un importante miglioramento complessivo delle attività di accounting e un’ottimizzazione sul fronte del revenue management.

Anche con l’uso del Machine Learning le attività di reportistica stanno diventando molto più efficienti, arrivando alla generazione automatica di report mensili e alla creazione personalizzata di report suddivisi per business line o team. 

Oltre alle competenze tecniche necessarie per il suo lavoro, il Chief Financial Officer, deve quindi avere uno sguardo proiettato verso il futuro, capendo le nuove tecnologie e le dinamiche della digitalizzazione allocando le risorse aziendali verso una visione digitale di lungo periodo. 

La figura del CFO è un figura omnicomprensiva che non si limita solo alla parte finanziaria dell’azienda ma che contribuisce in maniera determinante alla strategia e al processo decisionale di board, fornendo e interpretando i dati interni ed esterni a disposizione. 

Spesso in molte PMI italiane la figura del CFO non è presente, per mancanza di cultura finanziaria e manageriale, e le performance e i risultati ne risentono in maniera pesante.

Tutte le aziende dovrebbero integrare un CFO all’interno dell’organizzazione e molto spesso la scelta corretta è quella di reclutare un Interim CFO senza appesantire l’organizzazione con risorse a tempo indeterminato; le PMI, oltre a beneficiarne operativamente, potrebbero internalizzare un patrimonio di cultura finanziaria, tecnologica e gestionale che perdurerebbe nel tempo, molto oltre la permanenza della figura inserita all’interno dell’organizzazione. 

 

Tim Management si avvale di una rete di professionisti competenti selezionati nel tempo e ordinati nel network per funzione e settore. Assistiamo le organizzazioni e gli imprenditori nella ricerca e nella selezione di figure come l’Interim CFO, che possono veramente impattare sulle performance aziendali, essendo operativi in tempi brevissimi e apportando valore all’organizzazione. 

 

Chief Risk Officer (CRO) o RISK MANAGER, cosa fa e perché è importante

Negli ultimi anni, per molte aziende si è rivelato vitale l’utilizzo della tecnologia per migliorare i processi decisionali e operativi, ivi inclusi il monitoraggio delle performance interne e lo sviluppo di canali digitali per la vendita o per facilitare la relazione con i clienti. Da questo nasce la necessità di gestire in sicurezza i dati aziendali e quelli dei clienti; le aziende si sono evolute e il cambiamento le ha mantenute competitive ma le ha anche rese più complesse e più vulnerabili sia dal punto di vista operativo che strategico. 

Per questo è cresciuta l’importanza di figure come il Chief Risk Officer (CRO) o il Risk Manager, che sono diventate fondamentali e a volte imprescindibili per il corretto funzionamento di un’azienda. 

Il compito principale del Risk Manager è quello di analizzare e definire quali sono i principali rischi per l’azienda e di mantenerla conforme a tutte le normative vigenti.

Oltre alla compliance, i Risk Manager si occupano di una molteplicità di altre attività come ad esempio individuare le polizze assicurative necessarie, garantire la sicurezza dell’IT, prevenire le frodi, attivare gli audit interni ed esterni, si tratta di attività importanti e interconnesse, tutte collegate alla mitigazione dei rischi.

È altresì compito del Risk Manager, offrire una consulenza a 360 gradi riguardo la gestione del rischio. Ad esempio migliorare la cybersecurity dell’azienda oppure prevedere qualsiasi cambiamento economico, sociale, legislativo che potrebbe mettere a rischio l’operatività e il business dell’azienda.  

La figura del Risk Manager è quindi per sua natura molto elastica, le sue funzioni si dilatano e cambiano in modo eterogeneo, a seconda delle esigenze aziendali. Questa elasticità del ruolo permette al CRO di svolgere con successo le sue mansioni sia come dipendente che come consulente esterno – specialmente nei casi in cui l’impresa non abbia le risorse per un manager interno oppure la necessità di internalizzare e/o formare una figura di questo tipo, ma anche quando non ci sia il tempo per cercare un professionista da integrare nel team.

Va detto che nelle realtà più consolidate e strutturate è ormai normale la presenza di un vero e proprio team a supporto del CRO, per individuare e analizzare il rischio, per scegliere le metodologie e gli strumenti più idonei e per aiutare a diffondere nell’organizzazione la cultura del rischio. 

 

Chief Risk Officer (CRO): chi è e cosa fa il risk manager

Il Chief Risk Officer (CRO) o il Risk Manager deve innanzitutto raccogliere dati per poter individuare i rischi interni ed esterni all’azienda. La fase di documentazione è quindi propedeutica e fondamentale per poter definire il profilo di rischio dell’azienda e programmare al meglio le attività future.

A seguire è necessaria un’analisi dei principali indicatori di rischio (KRI), valutando le conseguenze di diversi possibili scenari (what-if analysis), come ad esempio una violazione di dati, una perdita sostanziale di profitto, danni all’inventario ed ogni attività che sia riconducibile ad un danno economico – ma anche ad esempio reputazionale – per l’azienda. 

Nelle fasi successive il CRO valuta le politiche e le procedure di mitigazione del rischio in essere in azienda, prevedendo l’implementazione di ulteriori procedure in caso di criticità o di carenza in alcune aree (in questo caso si parla di vulnerability assessment), aggiornando di conseguenza la risk policy aziendale.

Al termine di tutti i controlli il CRO opera i cambiamenti necessari che possono consistere sia nell’istituzione di nuovi protocolli operativi che nella stipulazione di nuove coperture assicurative.

È possibile che alcuni rischi non possano essere evitati: un esempio è sicuramente il rischio legato all’andamento dei mercati finanziari. In questo caso il ruolo del CRO sarà quello di stabilire il livello di rischio che un’azienda è disposta a sostenere (risk appetite). In questo modo una possibile fluttuazione, pur non sempre prevedibile ed in alcuni casi non completamente gestibile, causerà dei danni calcolati, non mettendo a repentaglio altre funzioni aziendali. 

 

I vantaggi per l’azienda che sceglie di inserire nell’organizzazione il CRO

Il CRO o il Risk Manager può incidere positivamente in molte aree, ad esempio prevedendo i seguenti rischi:

  1. Strategia: A livello strategico avere un risk management efficace può migliorare la competitività e il posizionamento dell’azienda sul mercato. Avere un risk assessment completo può far acquisire un vantaggio competitivo, in caso di imprevisti, rispetto alla concorrenza.
  2. Finanza: A livello di finanza un buon risk management si traduce, in caso di un costo imprevisto, nel continuare ad avere a disposizione la liquidità sufficiente per il corretto funzionamento dell’azienda.
  3. Globalizzazione: A livello globale un risk management efficace calcola,, a seconda dell’azienda e del settore, le variabili e gli accadimenti che potrebbero impattare il modello di business, spaziando da aspetti economici, a quelli politici, tecnologici, e perfino sociali delle varie nazioni e aree geografiche 
  4. Operatività: A livello operativo un buon risk management prevede i nodi operativi più importanti e ne stabilisce un’alternativa in caso di necessità. Questo permette il corretto funzionamento dell’azienda in caso di imprevisti, problemi logistici e di forniture e guasti sulle linee produttive. 

 

Gestione dei rischi nell’era digitale

Molte aziende si sono dovute attrezzare per gestire i dati dei clienti seguendo una normativa che negli ultimi anni ha attraversato diverse fasi di cambiamento, fino alla recente introduzione di aggiornamenti fondamentali per normativa sulla GDPR 2022, allo stesso tempo le aziende hanno anche automatizzato e digitalizzato molti processi che storicamente venivano gestiti in altro modo.

Sono via via emersi nuovi strumenti come il cloud, i big data, l’ intelligenza artificiale, l’IoT (Internet of Thing), il machine learning, tutte tecnologie complesse che devono essere integrate correttamente nei sistemi e nei processi aziendali e che poi vanno anche protetti dalle aziende che li sviluppano o che li utilizzano come elementi fondamentali per l’innovazione dei loro modelli di business e per lo svolgimento di funzioni nuove o di quelle tradizionali che si sono digitalizzate. 

A una tale velocità dell’adozione di nuove tecnologie spesso però non è stata accompagnata da un eguale sforzo in tema di sicurezza e di gestione del rischio.

Le piccole medie imprese sono il cuore pulsante dell’Italia, ma sono spesso proprio quelle che faticano di più nell’adozione di misure di prevenzione del rischio digitale.A causa della scarsità e inadeguatezza delle risorse organizzative ed economiche viene spesso tralasciata l’importanza del tema del rischio digitale, rendendo quindi vulnerabili le PMI e i loro stakeholder. 

Molte aziende spesso a carattere familiare vedono ancora la tutela del rischio come un costo e non come un’opportunità e il cambio culturale non è semplice. 

Ci sono alcuni fattori critici riscontrati in modo diffuso:

  • Difficoltà nella raccolta e mappatura dei dati;
  • Mancanza di sensibilizzazione sul rischio da parte dei dipendenti;
  • Mancanza di sponsorizzazione da parte del top management;
  • Difficoltà di comprensione della normativa;
  • Mancanza di Risk Manager competenti;
  • Inadeguatezza del budget. 
  • Inadeguatezza delle soluzioni tecnologiche di protezione 

Il mondo sta cambiando, diventando sempre più tecnologico e sempre più globale. Di conseguenza le aziende devono aggiornarsi sempre più velocemente alle nuove normative ed ai macro fattori esterni. 

L’inserimento nell’organizzazione di una figura come il CRO o il Risk Management aiuta a prevedere questi fattori e a ridurre l’esposizione ai rischi, agevolando il corretto funzionamento dell’organizzazione e contribuendo alla longevità dell’azienda. 

Come illustrato la soluzione migliore non è sempre quella di reclutare un CRO a tempo indeterminato ma per molte PMI è quella di inserire un Interim CRO esperto in grado di colmare le lacune dell’azienda e di implementare velocemente ed in maniera efficace una corretta politica di gestione dei rischi aziendali e di sviluppare i processi e gli strumenti adatti a tenerla sempre sotto controllo, lasciando poi la gestione corrente del rischio al management interno.

TIM M. mette a disposizione il suo network di partner e manager esperti per identificare i migliori CRO sul mercato. Grazie all’ esperienza maturata in oltre 30 anni e alla qualità dei nostri partner, siamo in grado di supportare efficacemente l’imprenditore e i suoi advisor nella ricerca di un Chief Risk Officer (CRO) o di un Risk Manager esperto del settore e di renderlo operativo in azienda in tempi brevissimi.

 

Donne e temporary management: sfide e opportunità nel mercato italiano

Le aziende ripartono dalle soft skill

La classe dirigente, in Italia e negli altri Paesi, ha subito forti cambiamenti negli ultimi anni, sia in generale per l’evoluzione del mondo del lavoro sia in particolare per la difficile congiuntura economica che, con alterne vicende, a partire dal 2008 ha riguardato tutti i mercati più sviluppati. 

Se da un lato la crisi ha rappresentato uno stimolo per i manager verso l’acquisizione di nuove competenze e di nuovi stili di leadership – alle hard skill come quelle linguistiche, informatiche e tecniche si sono sempre più frequentemente affiancate le soft skill come la flessibilità, l’apertura mentale e la capacità di gestione della diversity – dall’altro è stata uno stimolo per le aziende verso il ricambio generazionale dei propri dirigenti e la valorizzazione di queste nuove competenze e questi nuovi stili. 

Dal punto di vista sociale, i manager si sono poi trovati tra l’incudine e il martello. 

La crescente incidenza della leva variabile sulla retribuzione, con l’obiettivo di incentivarli a lavorare per risultati e in una logica di breve termine, ha messo sempre più pressione e responsabilità sulle loro performance. 

Al contempo, la percezione da parte dell’opinione pubblica della figura dei manager – sia pubblici che privati – è decisamente peggiorata, anche a causa delle difficoltà economiche affrontate da milioni di persone.

In questo contesto, è oggi fondamentale per i dirigenti non solo aiutare le aziende ad agganciare la ripresa in maniera efficace ed efficiente, ma anche ricoprire un ruolo di guida all’interno della società.

 

I trend italiani

Il mercato del lavoro, in Italia, non permette ancora di gestire al meglio il collocamento delle figure manageriali. Molte PMI – la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale del nostro Paese – fanno ancora fatica a comprendere le proprie esigenze. Vige inoltre, soprattutto nella generazione storica di imprenditori e CEO, un’immagine stereotipata del manager, a fronte di una crescente varietà di figure con caratteristiche personali e professionali diverse.

Due però le tendenze recenti che sembrano “correggere”, almeno in parte, questi difetti strutturali. 

1) Il costante e progressivo aumento della presenza femminile

2) Il sensibile aumento di manager assunti con contratti da libero professionista e dei temporary manager

Partiamo dalla prima tendenza.

Secondo l’ultimo Rapporto Donne ManagerItalia, a partire proprio dal 2008, c’è stata una crescita del 49% delle donne manager in Italia, a fronte di un calo del 10% degli uomini. I numeri complessivi sono ancora bassi –  il 18,3% del totale, secondo i dati dell’Inps – ma è confortante il trend tra le generazioni più giovani: si passa al 28% tra le under 40 e al 32,3% tra le under 35. Il fenomeno è più avanzato nelle regioni con una maggior presenza di aziende di grandi dimensioni – come Lombardia e Lazio – e il vero fiore all’occhiello è il settore dei dirigenti privati, in particolare quello del terziario (con la città di Milano come capofila).

Nell’epoca post-pandemia, ci sarà probabilmente sempre più bisogno di incentivare la diversity nel management, anche nell’ottica di una produttività più smart, in grado di coniugare gli obiettivi di business delle aziende con una visione del mondo rinnovata e più attenta ai temi sociali e alla sostenibilità. 

 

Management al femminile tra realtà e aspettative

E qui entra in gioco la seconda tendenza, quella del temporary management.

Il punto di arrivo di una vera e propria rivoluzione nelle modalità di lavoro, figlia del digitale e dell’applicazione di metodologie come l’Agile, che permette ad organizzazioni grandi e piccole di applicare pensiero strategico e velocità di esecuzione ricorrendo a professionisti esterni. 

Se finora il Temporary Manager è stata una professione tipicamente maschile, soprattutto per motivi anagrafici, si sta assistendo anche in quest’ambito a una lenta inversione di tendenza. Un maggior equilibrio tra i generi – a parità di stipendio, si auspica – sarebbe d’aiuto non solo per le professioniste, ma anche per le stesse aziende. Ci sono molti studi, infatti, che mettono in evidenza i vantaggi di un manager donna: sensibilità nel percepire le sfumature nella cultura aziendale, capacità di comunicazione, abilità nel costruire relazioni e nel fare rete. Proprio quelle competenze che la crisi degli ultimi anni ha reso sempre più centrali.

Un ostacolo da superare, a questo scopo, è consentire alle donne Temporary Manager di bilanciare gli impegni professionali con quelli personali, facendo in modo che la famiglia non diventi un ostacolo alla loro carriera e all’espressione del loro potenziale. Un problema che però riguarda l’intera società e tutti i settori lavorativi. 

In TIM Management la presenza di donne manager è in aumento rispetto al passato, e per i prossimi anni puntiamo a un equilibrio sempre maggiore. Il nostro obiettivo è di fornire le condizioni necessarie affinché le Temporary Manager possano trovare le aziende più adatte con cui lavorare, aiutandole tramite le loro hard e soft skill.

Il Valore aggiunto di un Interim Manager

Una delle tante lezioni apprese dalla pandemia è senza dubbio la grande imprevedibilità ed incertezza del mercato odierno, che obbligano le imprese ad essere costantemente preparate a possibili imprevisti e cambiamenti di rotta.

Proprio per questo, i consigli di amministrazione e il management di numerose aziende hanno risposto alla pandemia con maggiore intensità di lavoro e collaborando nella gestione delle crisi e nella risposta alle emergenze.

Secondo un recente sondaggio, il 69% dei dirigenti d’azienda afferma che i cambiamenti più evidenti nelle azioni intraprese per colmare le lacune del personale riguardano una maggiore attenzione alla costruzione delle competenze, seguita dalla ridistribuzione di queste ultime (45%) e dall’assunzione di nuovo personale (42%). In generale, per avere successo durante e dopo la pandemia, le aziende hanno bisogno di un nuovo set di skill, non solo tecniche ma anche sociali, emotive e cognitive. (McKinsey)

La figura del manager ad interim acquisisce quindi sempre più rilievo nel panorama aziendale, italiano e internazionale, rappresentando un grande valore aggiunto per le imprese che decidono di affidarsi a risorse manageriali di alto profilo. 

Esistono diversi vantaggi che le aziende possono trarre dall’acquisizione di un temporary manager qualificato. Questi elementi di valore possono essere riassunti in tre macro-aree.

  1. Migliori risultati in un minor lasso di tempo

Un temporary manager focalizza il proprio lavoro sugli obiettivi aziendali prefissati e sulla scadenza di questi ultimi. Un buon manager ad interim si assicura innanzitutto che il brief iniziale sia chiaro e ben definito. Inoltre, è per lui fondamentale accertarsi di avere gli strumenti necessari per trasformare gli obiettivi in risultati concreti, rispettando i limiti temporali prefissati. 

Dato l’elevata  expertise del manager, le imprese hanno così la possibilità di affidarsi a un professionista altamente qualificato, in grado di gestire sfide già affrontate, e che ha già avuto occasione e tempo per comprendere le modalità migliori per superare gli imprevisti.

In questo modo, per l’impresa si riducono drasticamente i tempi necessari a trovare il giusto metodo e gli strumenti più efficaci a superare cambiamenti ed eventi complessi. 

  1. Maggiore stabilità dei periodi di cambiamento

Il tempo non è però l’unica variabile di risparmio per un’impresa che si affida a un temporary manager. Un altro contributo fondamentale di un manager ad interim è la stabilità offerta nei periodi di cambiamento o di transizione all’interno di un’organizzazione. Secondo un report di Harvard, la partenza di un dirigente può essere catastrofica per un’azienda, soprattutto per i dipendenti. Può infatti generare un effetto a catena con un grande impatto sul morale complessivo e, di conseguenza, sulla produttività. 

La stabilità garantita dall’assunzione di un temporary manager – grazie al suo bagaglio di esperienza e di risorse necessaria a calmare l’ambiente – porta quindi dei benefici al morale e alla produttività.

Il coinvolgimento di un manager ad interim rappresenta così un ulteriore spinta a raggiungere gli obiettivi minimizzando i costi per l’impresa.

  1. Valorizzazione dell’ecosistema aziendale

Meno misurabile – ma indubbiamente fondamentale – è il valore relazionale e culturale che un manager ad interim è in grado di apportare all’organizzazione, non solo in termini economici e temporali. La grande esperienza di un temporary manager è infatti un’importante occasione di crescita e di confronto per l’azienda e il suo management interno, che ha la possibilità di assorbire know-how e conoscenze specifiche nel settore di competenza del manager ad interim.

Inoltre, una figura esterna all’ecosistema aziendale permette di implementare una visione più lucida dell’organizzazione ed è in grado di individuare rapidamente le criticità, indicando poi in maniera oggettiva le migliori soluzioni per attuare il cambiamento.

Infine, l’azienda trae valore anche dal network offerto dallo stesso manager ad interim. Quest’ultimo, infatti, consolida negli anni un’ampia rete di relazioni che possono rivelarsi particolarmente interessanti nel momento in cui partecipa al cambiamento aziendale e condivide aggiornamenti e risultati sui propri canali digitali come Facebook, Twitter e Linkedin. 

In conclusione, il manager ad interim è ad oggi una figura chiave non solo per i risultati evidenti che è in grado di portare in termini di business, ma anche per le sue soft skills che aggiungono valore al servizio di temporary management.

TIM Management è in grado di supportare l’imprenditore e i suoi advisor nelle operazioni di restructuring e turnaround, con partner di alto profilo che hanno maturato una profonda esperienza specifica in materia. 

Contattaci per un approfondimento.