Ecco perché i tuoi dipendenti odiano le riunioni aziendali

Ormai non è più un segreto: lamentarsi delle riunioni e della sensazione di tempo sprecato che comportano fa parte della vita lavorativa.

Ecco perché i tuoi dipendenti odiano le riunioni aziendali

Ormai non è più un segreto: lamentarsi delle riunioni e della sensazione di tempo sprecato che comportano fa parte della vita lavorativa. La maggior parte delle aziende riempie il calendario dei propri dipendenti con riunioni settimanali meticolosamente programmate. Ore e ore di meeting, call e riunioni che molti dipendenti, ormai non più così silenziosamente, ritengono siano una perdita di tempo.

Ma non deve essere per forza così.

Pochi leader si soffermano a riflettere seriamente sull’impatto, in particolare negativo, che queste riunioni hanno sul morale e sulla produttività delle loro squadre. Spesso, le riunioni sono considerate un “male necessario”, senza alcuna considerazione per il disagio che possono causare. Ma cosa rende così detestate le riunioni, e cosa può fare un Leader per migliorare la situazione?

 

Stop alle riunioni, lo dicono i dati

Su questo problema sono state scritte molte cose, ma le soluzioni generalmente proposte sono mediocri: stabilire un’agenda chiara, delegare un rappresentante a partecipare al proprio posto, e così via. Tuttavia, secondo alcune ricerche, un miglioramento effettivo richiede un cambiamento sistemico, poiché le riunioni hanno un impatto significativo sulla collaborazione tra le persone e sul modo in cui portano a termine il proprio lavoro.

Un sondaggio condotto da Korn Ferry su 1.945 lavoratori ha rivelato che il 67% degli intervistati ritiene che il numero eccessivo di riunioni impedisca di svolgere il loro lavoro nei migliori dei modi.

Secondo la Sloan Management Review del MIT un dirigente medio dedica ben 23 ore alla settimana alle riunioni, un impegno di tempo notevole che solleva interrogativi sulla loro effettiva produttività.

Ma i dati non finiscono qui, uno studio condotto dall’Harvard Business Review, ha rivelato che ben il 71% dei partecipanti all’indagine considera le riunioni come attività improduttive e inefficienti, mentre il 64% ritiene che ostacolino il cosiddetto “deep thinking”.

Nonostante questi dati allarmanti, molti dirigenti sembrano sottovalutare l’importanza di affrontare il problema delle riunioni improduttive. Certo, le riunioni sono essenziali per favorire la collaborazione, la creatività e l’innovazione. Spesso contribuiscono a sviluppare relazioni e a garantire uno scambio adeguato di informazioni, apportando vantaggi reali. Ma perché qualcuno difenderebbe riunioni eccessive, specialmente quando a nessuno piacciono particolarmente?

 

5 modi per migliorare le riunioni aziendali

Spesso i dirigenti vogliono essere dei “bravi soldati”. In particolare quando sacrificano il proprio tempo e benessere per le riunioni, essi ritengono di fare ciò che è meglio per l’azienda e non vedono i costi effettivi per l’organizzazione. In questo modo, trascurano il danno collettivo provocato da un eccesso di riunioni sulla produttività, sulla concentrazione e sul coinvolgimento dei manager.

Vediamo 5 soluzioni pratiche per affrontare questa sfida.

 

1. Definisci un piano d’azione chiaro alla conclusione di ogni riunione

Il più delle volte, i partecipanti alle riunioni si ritrovano a discutere e a fare brainstorming senza una chiara conclusione e senza azioni concrete da intraprendere. Terminare ogni riunione con almeno cinque minuti dedicati a definire le azioni successive, chi ne sarà responsabile, le scadenze e il follow-up può garantire che le azioni vengano effettivamente compiute e che si capisca lo scopo dell’incontro e i suoi potenziali effetti.

 

2. Riduci la durata delle riunioni

Le riunioni che si protraggono più del necessario sono una delle principali fonti di insoddisfazione. Le persone a volte hanno l’impressione che una riunione si trascini per occupare tutto il tempo assegnato, con il risultato di tenere riunioni di un’ora che avrebbero potuto essere concluse in mezz’ora. Diminuire la durata delle riunioni può aumentare la produttività e ridurre il tempo perso e la frustrazione.

 

3. Definisci uno scopo

Senza uno scopo o un ordine del giorno ben definito, le riunioni tendono a diventare discorsive e prive di direzione, lasciando i partecipanti a chiedersi perché sono stati convocati. Rendere i titoli delle riunioni più specifici e chiarire l’obiettivo nella descrizione dell’invito può chiarire quale è il risultato desiderato e il motivo per cui è necessario riunirsi per raggiungerlo.

 

4. Stabilisci chiaramente le aspettative riguardo ai comportamenti

Le riunioni offrono un’opportunità preziosa per il dialogo, la discussione e la risoluzione dei problemi, ma potrebbero degenerare se i partecipanti eccedono in manifestazioni di “cattiva etichetta”. Queste possono includere l’arrivo in ritardo, la distrazione da dispositivi elettronici, l’assenza di attenzione e le interruzioni continue. Per assicurare il successo della riunione è buona pratica stabilire le aspettative riguardo ai comportamenti desiderati durante le riunioni e spiegare perché tali comportamenti sono importanti.

 

5. Comunicare il ruolo di ciascun partecipante

Chiedersi quale sia il proprio ruolo e come il proprio contributo possa influire sul risultato di una riunione potrebbe creare dubbi e disorientamento. I leader raramente spiegano chiaramente il motivo per cui ciascuna persona è stata invitata. Comunicare il ruolo di ciascun partecipante insieme all’ordine del giorno potrebbe aumentare la motivazione dei presenti e anche far risparmiare tempo a chi potrebbe essere esentato dalla riunione perché non essenziale.

 

L’attuazione di queste strategie può ridurre il numero di riunioni inutili, liberando tempo produttivo per i membri del team e consentendo loro di svolgere più lavoro di qualità in meno tempo.

TIM Management è pronta a offrire alle PMI il supporto di Interim Manager che, grazie alla loro esperienza sviluppata in situazioni analoghe, e a competenze verticali sui settori di riferimento, possono aiutare le aziende a sfruttare appieno le loro potenzialità, migliorando le possibilità di raggiungere risultati positivi durante tutte le fasi di cambiamento, sviluppo e ristrutturazione.

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L’etica del lavoro sta cambiando: un comune denominatore tra generazioni diverse

Sono in atto cambiamenti epocali nell’approccio al lavoro che stanno ridefinendo radicalmente l’etica lavorativa, mentre le diverse generazioni – non basta più catalogare gli atteggiamenti nei confronti del lavoro basandosi su stereotipi generazionali – convergono su un comune denominatore.

 

I lavoratori più giovani rappresentano una parte sempre più significativa della forza lavoro, alcune stime indicano che entro il 2025 i membri della Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) potrebbero costituire oltre il 25% della forza lavoro globale.

Per comprendere appieno la dinamica del cambiamento generazionale che sta attraversando il mondo del lavoro, bisogna spingersi oltre le convenzionali etichette generazionali. Quello che emerge dalle ricerche, è la sorprendente convergenza di ciò che le persone, indipendentemente dall’età, cercano sul posto di lavoro e le ragioni che li spingono a cambiare o abbandonare il proprio lavoro.

Le peculiarità cominciano ad emergere quando si tratta di creare le condizioni per trattenere i dipendenti più validi. Per i datori di lavoro, la sfida più difficile è quella di adattare le proprie strategie di retention alle esigenze specifiche della Generazione Z, che spesso si rivelano diverse rispetto alle generazioni precedenti e spiazzanti per chi si occupa di HR.

In questo contesto in continua evoluzione, emergono lezioni cruciali: abbandonare gli stereotipi generazionali, concentrarsi sui fattori che restano rilevanti – indipendentemente dall’età – e abbracciare un approccio più articolato per comprendere come tali fattori possano influenzare le decisioni individuali di rimanere o cercare altrove opportunità di lavoro e carriera. 

 

Le similitudini tra diverse generazioni

Nonostante le ipotetiche differenze generazionali riguardo le aspirazioni dei lavoratori, molti stereotipi basati sull’età, specialmente quelli riguardanti i membri più giovani della forza lavoro, si potrebbero in realtà rivelare leggende senza reale fondamento. 

Secondo i dati raccolti dalla ricerca di McKinsey, sebbene ci siano differenze nei tassi di abbandono tra i vari gruppi di età, le preferenze dei dipendenti sono sorprendentemente simili, soprattutto quando si tratta di considerare l’opportunità di lasciare il lavoro. 

Questo è un dato importante poiché significa che, sia le esigenze, che le motivazioni dei manager in cerca di un cambiamento nel proprio ruolo, indipendentemente dall’età, possono essere affrontate con una strategia comune.

Tra coloro che intendono cambiare lavoro, le motivazioni principali sono sorprendentemente simili tra tutti i gruppi di età: 

  • Compensazione insufficiente;
  • Mancanza di opportunità di sviluppo e avanzamento professionale;
  • Leadership poco empatica

Ancora più interessante è constatare che le ragioni principali per aver lasciato il proprio incarico precedente sono le stesse sia per i manager più giovani che per quelli più anziani. Questi sono anche i motivi citati da diverse fasce d’età per spiegare perché potrebbero in futuro decidere di abbandonare il loro incarico attuale.

Questi risultati ci confermano che è fondamentale comprendere e soddisfare queste esigenze comuni per mantenere una forza lavoro motivata ed efficiente, indipendentemente dalla generazione di appartenenza.

 

Strategie di attrattività

Per attirare nuovi talenti in azienda, le strategie più efficaci coinvolgono sia i “fattori fondamentali”, come la retribuzione e lo status, che i “fattori motivanti”, come il livello di responsabilità e autonomia e le opportunità concrete di sviluppo della carriera; tenendo ben presente che un gruppo di fattori non sostituisce l’altro e che entrambi devono essere presenti in maniera equilibrata. 

Questo vale in maggior misura per la Generazione Z, che considera i “fattori motivanti”, insieme alla flessibilità sul luogo di lavoro, come i più importanti quando si tratta di accettare un nuovo impiego. Rispetto ai dipendenti delle generazioni precedenti, i più giovani classificano la retribuzione come un fattore leggermente meno importante. E’ vero che una retribuzione equa e adeguata è sempre stata un fattore critico, ma nel contesto attuale, è probabile che tutti i lavoratori si aspettino una buona retribuzione come parte fondamentale del valore dell’offerta di lavoro. 

Ogni gruppo di età colloca la retribuzione adeguata, o lamenta la sua inadeguatezza, come un elemento nelle loro decisioni di impiego. 

Ma d’altro canto, la sola retribuzione non convincerà un lavoratore né a restare né a cercare altrove. Tuttavia, il margine di errore nell’under paying delle persone (o nella loro percezione di essere sottopagate) è ora molto più ridotto, specialmente con i migliori talenti di un’azienda, che potrebbero essere molto più propensi a cercare un nuovo impiego se non si sentono retribuiti equamente, a prescindere dall’età.

Le notevoli analogie tra le generazioni sembrano ribaltare le convinzioni tradizionali sulle differenze nella forza lavoro per età o generazione. Le ragioni per cui le persone lasciano il lavoro, inoltre, evolvono nel tempo, quindi non sarà più sufficiente, per i datori di lavoro, presumere che le ragioni per cui le persone hanno già lasciato il lavoro siano le stesse che in passato.

 

Giovani e passaggio generazionale d’impresa

Il passaggio generazionale nel management d’impresa è un processo fondamentale per trattenere i lavoratori più giovani – oltre che per mantenere la continuità aziendale. Per dimostrare ai giovani manager che c’è un futuro all’interno dell’azienda però, è essenziale investire nella loro formazione e crescita. 

Questo presuppone l’adozione, da parte di chi gestisce le risorse umane, di un approccio differente rispetto alla tradizionale traiettoria di carriera, che prevedeva di lavorare duramente, ottenere buoni risultati e scalare la gerarchia aziendale; oggi è importante considerare percorsi di carriera meno verticali e modalità differenti di valutare le performance, per garantire opportunità concrete di crescita dei dipendenti, all’interno dell’organizzazione.

Offrire strutturalmente opportunità per sviluppare nuove competenze o fare nuove esperienze, come lavorare su progetti critici o spostarsi lateralmente in nuovi ruoli, è la chiave per accelerare il processo di adeguamento della gestione strategica delle risorse umane. Questi “micro” traguardi possono fornire ai lavoratori più giovani non solo un percorso di carriera più dinamico, ma anche un feedback più immediato sul loro processo di crescita e una maggiore consapevolezza di essere apprezzati dall’azienda.

Grazie alla sua vasta rete di professionisti altamente qualificati e esperti in diversi settori, TIM Management è in grado di fornire alle aziende il supporto di interim manager esperti nella gestione del cambiamento che possono contribuire a creare un ambiente di lavoro più stimolante e ad accrescere le competenze dei manager più potenziali, motivandoli a rimanere nell’organizzazione. 

Questo diventa particolarmente rilevante in caso di passaggio generazionale per le aziende familiari, dove il manager a interim lavora per stabilire una relazione costruttiva tra il giovane successore e l’imprenditore, colmando il gap di competenze ed esperienza, con l’obiettivo di potenziare la competitività aziendale e garantire una continuità di successo all’impresa.