Il nostro team

La missione di TIM è quella di supportare le Aziende nelle fasi di sviluppo e/o di ristrutturazione, affiancandole nella gestione del cambiamento

Passaggio generazionale d’Impresa

Come l’interim management può aiutare la transizione

In Italia, il 65% delle imprese è di tipo familiare e, secondo il Global Family Business, l’Italia si colloca al settimo posto tra i Paesi che ospitano le prime 500 società familiari al mondo. Negli ultimi anni il tema del “ricambio generazionale” è diventato di grande importanza ed attualità poiché coinvolge un numero sempre maggiore di piccole e medie imprese.

La crisi economica ha sottolineato alcuni problemi strutturali tipici delle imprese familiari, come la scarsa flessibilità o capacità gestionale. Queste aziende hanno dimostrato però una maggiore capacità di recuperare la redditività e superare le crisi, adattandosi velocemente ai cambiamenti di scenario. Tuttavia, secondo i dati, meno del 30% delle aziende familiari supera il terzo passaggio generazionale.

PMI familiari e l’esigenza di colmare il gap di competenza tra le generazioni

Questo passaggio si rivela spesso difficile a causa, non solo della struttura dell’impresa, ma anche dei soggetti coinvolti e dalle dinamiche legate alla cultura aziendale; dai valori imprenditoriali; dalla relazione padre-figlio e dalle conflittualità che potrebbero sorgere tra i due. 

È necessario affrontare questa difficile transizione con gli strumenti adeguati, in modo tale da gestire la successione imprenditoriale come una fase di sviluppo dell’impresa: migliorando la redditività, ampliando il bagaglio di conoscenze aziendali e facendone un momento di revisione delle strategie a breve e lungo termine. 

È possibile superare l’attuale gap di competenze che caratterizza le aziende familiari attraverso l’iniezione di una nuova managerialità capace di facilitare e accelerare i processi di cambiamento, introducendo stabilmente in azienda nuove capacità. Questi manager esterni non solo possono sciogliere i nodi tra padre e figlio con maggiore obiettività e distacco, ma possono anche affiancarsi alle nuove leve per un tempo limitato, formandole al meglio e dotandole delle competenze necessarie per proseguire il lavoro svolto dalla famiglia.

Di chi parliamo quando parliamo di imprese familiari

Esistono diverse definizioni di family business e una delle più importanti e rappresentative è quella che li definisce come quelle aziende controllate da due, o più, membri di una famiglia, che esercitano un’influenza significativa sulla gestione operativa del business. Se prendiamo in considerazione l’impresa e la famiglia attraverso il “modello dei tre cerchi” (ideato dai professori dell’università di Harvard Renato Tagiuri e John Davis nel 1982) riusciamo a comprendere meglio il complesso modello delle imprese familiari.

Questo modello, utilizzato da Ernesto Poza – tra i più noti consulenti al mondo in materia di gestione e sviluppo delle aziende familiari – e da altri studiosi delle dinamiche delle aziende familiari, è formato da tre sottosistemi: la famiglia, l’impresa (il business) e la proprietà. Nonostante siano insiemi indipendenti, interferiscono tra loro, condizionandosi a vicenda.

Poza formula una grande raccomandazione generale: bisogna fare in modo che non sia un gioco a somma zero, dove chi vince lo fa a spese dell’altro, specie “se la torta non cresce e le persone devono litigare per avere una fetta più grande”.

È interessante notare come le tre aree si modificano nel tempo, insieme al rapporto tra i tre sottosistemi, con il passaggio da una generazione alla successiva. Effettivamente vediamo una sovrapposizione dei tre cerchi nella figura dell’imprenditore che fonda l’azienda, ma dal primo passaggio generazionale in poi l’azienda tenderà al mutamento e quindi si avrà un allontanamento dei cerchi. 

Se è normale e accettabile nella situazione iniziale l’esistenza di una certa confusione e sovrapposizione di ruoli, vista la forte accentuazione sulla sopravvivenza dell’azienda durante la fase di crescita accelerata, negli anni successivi non ci si può permettere lo stesso livello di entropia organizzativa. Per quanto i cerchi possano restare correlati, è necessario che inizino a distinguersi l’uno dall’altro, arrivando quasi all’indipendenza.

Nella fase di transizione generazionale è importante il supporto di competenze esterne di valore, come consulenti indipendenti o management esterno, per realizzare una transizione di successo.

L’Interim Management per agevolare il passaggio generazionale: il valore aggiunto delle relazioni 

Per svolgere un buon lavoro, i manager esterni non possono fare tutto da soli; hanno bisogno del contributo della famiglia proprietaria, dei manager e dei dirigenti. La famiglia deve saper riconoscere il valore portato dal manager, che per svolgere il suo lavoro ha bisogno del supporto di chi lavora all’interno dell’azienda. È importante che il manager, oltre alle competenze tradizionali, abbia la capacità di gestire le relazioni con e dentro la famiglia, oltre che con il management interno.

Perciò possiamo dire che, nel momento della pianificazione della transizione generazionale, si deve costituire una vera e propria squadra, dove ognuno apporta le proprie conoscenze e le proprie esperienze per cercare di dare continuità all’impresa, consentendo un passaggio generazionale ben gestito. Le competenze e le conoscenze specifiche dell’interim manager in merito al ricambio generazionale sono varie: svariano dal lato giuridico, fiscale, organizzativo, finanziario, fino a quello psicologico-relazionale. 

Quanto detto finora non fa che confermare la rilevanza dell’interim management quale strumento di crescita e stabilizzazione per le aziende familiari. Il supporto dell’interim management è importante non solo per le imprese medio-grandi, ma soprattutto per le piccole e medie realtà industriali e di servizi, con fatturati a partire dai 6-7 milioni e un’organizzazione manageriale limitata.

Per queste aziende l’interim management può essere lo strumento ideale per rafforzare l’organizzazione e dare solidità e continuità dopo la transizione generazionale, accrescendo le competenze Manageriali già esistenti e risolvendo al contempo le criticità presenti nell’organizzazione.

La gestione dei conflitti: non solo numeri

Nel passaggio generazionale la gestione del conflitto può risultare particolarmente complessa, in quanto le emozioni possono prendere il sopravvento e le diverse posizioni possono sembrare inconciliabili. Diventa indispensabile, a questo punto, utilizzare una metodologia per la gestione del conflitto, bisogna operare per risolvere la situazione alla base e riportare l’azienda in condizioni di operare al massimo della sua efficienza.

Una situazione di conflitto sottolinea la necessità di una competenza manageriale che sappia discernere i conflitti cognitivi da quelli relazionali e li sappia trattare in modo adeguato.

Senza entrare nel merito di una trattazione specifica, ci sono alcuni principi chiave che vanno seguiti:

 

  • Individuare la natura e il livello del conflitto: si tratta di un problema organizzativo o interpersonale?
  • Se il conflitto è espressione di problemi più profondi, questi ultimi devono essere individuati e analizzati per comprenderne le cause che andranno eliminate, evitando così che compromettano il futuro dell’azienda. 
  • Lavorare sulle cause con metodo ed esperienza per poter identificare e isolare le radici profonde da cui nasce e si alimenta il conflitto.
  • Riuscire a risolvere il conflitto, cercando un equilibrio tra i bisogni, espressi e non, di tutte le parti contrapposte e dell’organizzazione, i cui bisogni dovrebbero essere considerati di “ordine superiore”.

Il coinvolgimento di soggetti terzi può aiutare a ridurre l’area delle emozioni e ad ampliare quella della razionalità. L’oggettività e il senso etico di un interim manager possono rivelarsi di grande utilità per risolvere i conflitti e per preparare il terreno ad una successione positivamente efficace.

I passi della successione

Il cambio generazionale deve essere programmato con anticipo; nel cambiamento è opportuno dare precedenza agli obiettivi di competitività dell’azienda, e a ricercare nuovi equilibri aziendali tenendo in considerazione le dimensioni dell’impresa e attivando strutture giuridiche adeguate a favorire la formazione di una maggioranza in CdA ed evitare così pericolosi stalli decisionali. 

Ci sono alcuni step di base da affrontare durante la successione nelle imprese familiari, necessari per affrontare tutte le criticità del processo.

Per prima cosa bisogna attivare uno screening valutativo e motivazionale, il più possibile dettagliato ed analitico, di tutti i membri del gruppo familiare operanti in azienda, al fine di evidenziare competenze, motivazioni e aspettative personali. Proprio in questa fase verranno portati a galla i conflitti in gioco.

La variabile più importante, da cui dipende il successo o il fallimento di un’impresa, è la gestione strategica. Bisogna quindi redigere un piano strategico e definire quale direzione prendere, prima di intraprendere il percorso della transizione. Il piano serve sia a consolidare il consenso della famiglia attorno al progetto, che per ottenere un corretto abbinamento tra le competenze strategiche richieste dal piano e quelle delle risorse disponibili nella famiglia.

La carenza di formalizzazione è più frequente nelle imprese familiari, dove spesso le decisioni più importanti vengono prese all’interno della famiglia in maniera informale. E’ importante quindi formalizzare questo processo decisionale, attraverso la cosiddetta costituzione o patto di famiglia; non importa tanto quanto è formalizzato in un documento preciso, ma è importante il raggiungimento di un consenso unanime sui contenuti, deve rappresentare una sorta di guida per arrivare a realizzare il passaggio generazionale.

Il patto di famiglia serve a chiarire le regole, le ragioni e i valori che i familiari osservano o devono osservare nei rapporti con l’impresa. A livello di contenuto non esistono regole rigide: si possono mettere in evidenza i valori aziendali e quelli di famiglia, si possono anticipare delle linee guida per la risoluzione dei conflitti, i livelli retributivi e i benefit, e via dicendo. Un fattore a cui fare attenzione, che spesso passa in secondo piano, è rappresentato dalle modalità di uscita dell’imprenditore che termina di operare in azienda. 

L’azienda rappresenta un’estensione della persona che l’ha creata, una casa, il coronamento delle fatiche e dei sogni del fondatore. Appare chiaro quanto possa essere destabilizzante il passaggio del testimone, che, se non gestito correttamente anche a livello psicologico, può impattare in modo traumatico sull’impresa.

Al fine di evitare che l’attaccamento dei fondatori, rispetto alla loro creatura, rischi di portare al collasso della stessa, diventa fondamentale che l’imprenditore – o chi sia in linea di successione il futuro imprenditore – viva in modo sano la pianificazione del passaggio. Solo in questo modo è possibile garantire la continuità aziendale. 

Fondamentale è che, tale momento, non venga a coincidere con una situazione di spaesamento generale: TIM Management, con il suo ampio network di professionisti selezionati nel tempo ed esperti in ogni settore, può offrire la migliore assistenza, assicurando un clima più sereno tra tutti; in particolare tra il successore e l’imprenditore, contribuendo così ad aumentare la competitività dell’impresa, garantendo una continuità di successo.

 

 

 

Il ruolo del Sustainability Manager

L’evoluzione vorticosa dello scenario economico e politico e le trasformazioni del tessuto socio-economico sempre più rapide, sono il terreno su cui nascono nuove – in alcuni casi nuovissime – figure professionali che le aziende sempre più frequentemente integrano nel loro organigramma in ruoli manageriali, spesso anche apicali. 

Il tema della sostenibilità, ad esempio, è decisamente ‘caldo’ nel contesto attuale: le aziende e i mercati si trovano, a volte loro malgrado, nel bel mezzo di un processo di transizione ecologica e digitale, avviato con l’obiettivo di riequilibrare l’ecosistema, non solo inteso come ambiente, ma anche come società (qualità ed etica del lavoro) ed economia (processi produttivi ottimizzati).

Il fine ultimo è quello di arrivare a perseguire uno “sviluppo sostenibile” che soddisfi le necessità del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni.

 

Chi è il Sustainability Manager

 

Questa figura, ha come focus del proprio mandato quello di gestire con successo la sfida della sostenibilità, ricavandone, quando possibile, nuove opportunità per l’azienda e riducendo al contempo quei costi che nel medio termine potrebbero divenire insostenibili. La crescente consapevolezza del tema della sostenibilità comporta modifiche profonde nel business di molte aziende che sono determinate a modificare radicalmente il modo di relazionarsi al contesto in cui operano.

Il Sustainability Manager, è una figura altamente specializzata, che aiuta le aziende ad individuare e perseguire pratiche e azioni sostenibili sia dal punto di vista ambientale che da quello dei processi di operations e innovazione. Una delle sue caratteristiche è l’alto profilo manageriale (Il 53% dei professionisti assunti in grandi e medie imprese per questo ruolo rivestono ruoli dirigenziali),nella vasta maggioranza dei casi opera con responsabilità dirette sui cambiamenti da implementare, coinvolgendo tutte le linee di business. Ogni attività, dalla produzione alla distribuzione, verrà valutata in ottica ESG, e verrà analizzato il suo allineamento, operativo e strategico, con le più recenti normative ambientali, energetiche e di sicurezza. 

Per questo motivo il Sustainability Manager supporta attivamente le politiche e le iniziative sostenibili nell’organizzazione, persegue il monitoraggio e il raggiungimento di obiettivi di performance concreti e misurabili e stimola la sensibilizzazione alla sostenibilità, per poter raggiungere un impatto positivo, non solo per l’azienda ma anche per le persone e l’ambiente.

 

La missione del Sustainability Manager 

 

Si sviluppa in queste aree:

  • Studio fattori ESG, deve monitorare l’evoluzione dei fattori ESG e il loro impatto sulle dinamiche dei mercati dove opera l’azienda, oltre a valutarne l’impatto in termini di rischio e sulle prospettive di redditività dei business.
  • Stabilire obiettivi di performance di sostenibilità, deve guidare con obiettivi condivisi, concreti e misurabili lo sviluppo del sistema aziendale verso una gestione sostenibile, creando valore in ambito ambientale, sociale e di governance.
  • Ideare programmi di sensibilizzazione alla sostenibilità, deve gestire e implementare le iniziative di sensibilizzazione all’interno dell’organizzazione, misurando e comunicando la loro efficacia, sia all’interno dell’azienda che all’esterno, così che i principi della gestione sostenibile e dell’economia circolare siano diffusi e concretamente condivisi.
  • Essere un challenger, l’area di lavoro più importante per chi deve attuare il cambiamento: operare in maniera smart, usando il pensiero laterale e portando prospettive e punti di vista diversi. Il Sustainability Manager è chiamato a sfidare i comportamenti e le convinzioni consolidate, agendo da outsider.

 

Le competenze del Sustainability Manager 

 

Le competenze e le capacità richieste al Sustainability Manager sono eterogenee e multidisciplinari, ma, tra queste sono senz’altro fondamentali: 

– Skills organizzative 

– Competenze analitiche e forma mentis data driven 

– Attitudine al problem solving   

– Eccellenti capacità relazionali e di comunicazione, sia verso l’interno che verso l’esterno

 

Il ruolo non presuppone di operare unicamente sul piano strategico, tenendo in considerazione gli aspetti legati ai consumi, al mercato e alle tecnologie, ma deve arrivare ad impattare anche sulla consapevolezza e conoscenza aziendale* riguardo ai temi ESG. L’obiettivo è anche quello di diffondere i concetti legati alla sostenibilità, portando punti di vista differenti, provenienti dall’azienda ma anche esperienze esterne significative. 

 

*Secondo la ricerca Luiss Business School, l’81% dei Sustainability Manager ha prodotto una crescita della cultura interna riguardo la sostenibilità. 

 

Cosa fa il Sustainability Manager

 

Può svolgere molte differenti mansioni, in base al contesto in cui l’azienda opera. 

Alcune, tuttavia, sono trasversali, tra segnaliamo alcune delle sue mansioni specifiche: 

  • La valutazione e l’elaborazione di una road map strategica per il raggiungimento degli obiettivi e la redazione di un piano di sostenibilità con KPI specifici per misurarne l’efficacia. 
  • Sviluppo di azioni volte a migliorare la sostenibilità Sociale e Ambientale, in linea con le normative attuali e monitorate attraverso audit specifici. 
  • Programmazione, analisi e aggiornamento di un piano strategico di sostenibilità dell’organizzazione in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i suoi 17 obiettivi (SDGs). 

 

Le sfide sono ambiziose, gli obiettivi sono complessi, ma se si vuole che la sostenibilità diventi un approccio comune a tutte le imprese, dalle PMI sino alle multinazionali, è necessario che nell’organizzazione sia presente un Sustainability Manager per sviluppare iniziative e progetti all’interno dell’impresa, ma ottenere anche un impatto all’esterno e aumentare la sensibilità collettiva in chiave ESG. 

 

La figura di un Interim Manager esterno esperto, in particolare per le PMI, può essere la modalità ottimale per inserire all’interno dell’organizzazione un Sustainability Manager che possa facilitare il cambiamento e formare il management interno in funzione di una gestione dei fattori ESG. TIM Management, con il suo ampio network di professionisti selezionati nel tempo ed esperti in ogni settore, può offrire la migliore assistenza, rendendo operative le risorse necessarie in tempi brevissimi.

 

Annual WIL Conference

Grande emozione aver ospitato a Monza il convegno annuale di WIL Group. Tema di quest’anno: “Crescere nell’era dell’incertezza”.

Quali strategie adottare al contesto di instabilità attuale? Questa la domanda a cui si è cercato di dare una risposta durante le conferenze tenutesi dal 5 al 7 Ottobre.

L’attuale contesto geopolitico e l’incidenza sui processi decisionali, le azioni in ottica ESG, la Digital Transformation: solo alcuni degli argomenti trattati per capire come affrontare le sfide a breve, medio e lungo termine.

Ne è emerso un quadro chiaro, che ribadisce la centralità dell’Interim Management per fronteggiare i cambiamenti in atto.

Prossimo appuntamento: Stoccolma nel 2023.

Perché il tema ESG è davvero importante per tutte le aziende

Gli investimenti a tema ESG (ovvero quelli che si concentrano sulle priorità ambientali, sociali e di governance) si avviano quest’anno a superare i 40 trilioni di dollari di asset, suggerendo che il concetto è ormai profondamente radicato nei mercati globali. È noto che incorporare obiettivi come la sostenibilità nel DNA di un’organizzazione può migliorare l’efficienza operativa, il coinvolgimento dei dipendenti e la resilienza.

Ma, allo stesso tempo, aumenta il numero dei detrattori; molti manager affermano che le loro politiche ESG non hanno portato vantaggi concreti all’azienda. Una possibile spiegazione di questo fatto è che poche aziende integrano le idee legate ai fattori ESG nelle loro strategie di business. 

Sebbene oltre il 90% delle società dell’S&P 500 oggi pubblichi rapporti ESG, in Italia sono in totale circa 300, le critiche sembrano aumentare. I critici descrivono l’ESG come “green washing” che può distrarre risorse dalle vere priorità aziendali. Questo anche se molte aziende sono sempre più spesso costrette a prendere decisioni impattanti sui loro risultati di business in risposta alle preoccupazioni crescenti su sostenibilità e inclusione. 

Le aziende incaricate di creare valore a lungo termine devono necessariamente affrontare problemi esogeni come le emissioni di gas serra, affermano i senior partner di McKinsey in un interessante articolo appena pubblicato di cui riassumiamo alcune conclusioni.

I temi ESG sono diventati sempre più rilevanti per preparare le organizzazioni ad affrontare con successo il futuro. Ecco cosa si può rispondere agli scettici ESG portando anche alcuni esempi di società che sono riuscite ad abbracciare i fattori ESG migliorando, grazie a questi ultimi, i risultati aziendali.

Cominciamo dalle critiche che non sono nuove e spesso sono quelle preventive poste dai manager più tradizionali, che non vogliono affrontare questi temi per la loro azienda per timore di costi certi e benefici difficili da quantificare, eccone alcune:

  • I valori ESG distraggono risorse umane ed economiche dai veri obiettivi aziendali; l’azienda deve produrre risultati economici e i temi ESG possono certamente essere positivi per l’immagine dell’azienda e i suoi brand ma non migliorano il bottom line, anzi spesso producono eventi e comunicazioni estemporanee che dichiarano obiettivi difficilmente raggiungibili.
  • Gli elementi che compongono il profilo ESG sono troppi e spesso confliggono tra di loro e con gli obiettivi di business; trovare un equilibrio tra così tante componenti, obiettivi e stakeholders è praticamente impossibile.
  • I valori ESG sono difficilmente quantificabili e misurabili. Ancora una volta il problema è la complessità nel trovare una sintesi; se i singoli valori ESG sono in parte misurabili e monitorabili, assegnare a questi molteplici valori un peso corretto è molto più difficile e in un certo senso soggettivo. Non esiste un metodo comune per calcolare i rating ESG che sia universalmente adottato e riconosciuto.
  • Inoltre, anche quando i valori ESG sono misurati e monitorati, è molto difficile rapportarli alle performance finanziarie e di business dell’impresa. Non è semplice trovare una correlazione diretta nemmeno considerando singolarmente i settori industriali, e ancora più difficile è costruire un nesso causale valido per più settori. Peraltro i fondi ESG, che sono nati negli ultimi anni, non sempre performano meglio dei fondi tradizionali, nella maggior parte dei casi questo è vero ma, anche in questo caso, non è una regola sempre rispettata.

Le performance aziendali però non sono più sostenibili nel lungo periodo senza un livello adeguato di accettabilità sociale, vediamo perché.

È assodato che un’impresa debba produrre valore nel lungo periodo e questo oggi non è più possibile senza tenere conto dei fattori esterni che possono impattare sui risultati di business; i fattori esterni andranno inevitabilmente a impattare sulle performance dell’azienda anche se non direttamente legati si suoi prodotti o servizi o al livello di competitività rispetto ai concorrenti.

Non si può infatti più prescindere dalla creazione e costruzione di un supporto sociale solido e duraturo da parte di dipendenti, clienti e comunità, perché, in sua mancanza, l’azienda andrebbe piano piano a perdere la sua capacità di produrre risultati positivi di business nel tempo.

I valori ESG rappresentano l’anello di collegamento tra i fattori esterni sociali e i risultati dell’azienda e per questo è fondamentale considerarli e monitorarne i progressi in maniera strutturata

Ecco, in sintesi, le tre ragioni per cui i valori ESG possono avere un grande impatto per l’impresa:

1 – I fattori esterni da tenere sotto controllo sono sempre di più e sempre più importanti per il sociale

Ad esempio, il carbon footprint di un’azienda può impattare limitatamente sui suoi dipendenti ma impatta certamente in modo più ampio sulla comunità dove l’azienda opera e contribuisce alla sostenibilità globale in un mondo sempre più monitorato e interconnesso. Le aziende, di fronte a temi come questo, oggetto di ampia discussione pubblica e regolamentazione da parte dei governi nazionali e sovranazionali, non possono più permettersi un approccio conservativo, gli stakeholders si aspettano che le aziende agiscano in modo proattivo e responsabile. Per questo più di 5000 imprese hanno preso un serio impegno per il raggiungimento di un impatto net-zero. Un’altra area di sempre crescente impatto è rappresentata dalle politiche di inclusione adottate dall’azienda, i dipendenti sempre più frequentemente scelgono le aziende dove lavorare in base a criteri di inclusività e rispetto. 

2 – Alcune aziende hanno raggiunto grandi risultati grazie ai valori ESG;

Il supporto sociale non è un obiettivo statico, che si raggiunge e si può archiviare, ma un processo dinamico che richiede impegno e un monitoraggio continuo. A differenza dei tradizionali obiettivi finanziari, per raggiungere i quali è sempre possibile trovare alternative finanziarie percorribili, per gli obiettivi ESG non c’è un’alternativa possibile, in una prospettiva di cambi climatici e sociali drammatici non esistono scappatoie per le imprese.

Possiamo considerare i valori ESG come un viaggio, ci saranno ritardi e scossoni, nessun’azienda è perfetta, gli errori sono sempre possibili e ci sono imprevisti che si possono verificare ma il viaggio non si arresta per questo. L’immagine dell’azienda legata alla sostenibilità sta diventando sempre più vitale per la sua sopravvivenza nel medio periodo per cui non è possibile evitare il confronto con questi temi e sperare che le cose si aggiustino da sé. Al contrario, è sempre più necessario per l’impresa trovare un fine, un ‘purpose’ attorno al quale aggregare gli sforzi e allineare il business model e la strategia. La domanda chiave da porsi è ‘cosa perderebbe l’umanità se la nostra azienda scomparisse?’

Le aziende che riescono a trovare e perseguire coerentemente un ‘purpose’ sono quelle che sapranno meglio motivare il team e gli stakeholders e creare valore nel tempo per i clienti e gli investitori. 

Ad esempio, Patagonia, azienda produttrice di abbigliamento sportivo e outdoor, che è sempre stata motivata alla salvaguardia del pianeta e il cui fondatore rinuncia alla proprietà dell’azienda per questa causa, oppure Natura&Co, una brand di cosmetici brasiliana, che vuole che gli individui vivano in armonia con sé stessi, con gli altri e la natura e che, per perseguire questo fine, dirige tutti i suoi sforzi in area ESG per difendere l’Amazonia e le sue popolazioni. Queste non sono che due delle aziende che hanno trovato nel proprio purpose una via per perseguire il successo e la perennità.

3 – Il monitoraggio dei valori ESG è solido andrà a migliorare col tempo

I valori ESG sono stati introdotti recentemente e la misura del loro impatto e sviluppo è ancora largamente ‘work in progress’. La misurazione dei valori ESG senza dubbio andrà a migliorare col tempo grazie al contributo e all’esperienza di centinaia di aziende che hanno faticosamente intrapreso questo cammino. Non a caso sono nati e si stanno affermando diversi rating ESG, con differenti provider come MSCI, Refinitiv o S&P Global, che stanno combattendo per affermarsi come lo standard di misura dei valori ESG.

Si andrà a migliorare la loro affidabilità, similmente a quanto accaduto con i report e i rating finanziari, che si sono evoluti e consolidati sotto la spinta degli stakeholders in un processo di lungo e continuo fine tuning. Il fatto che non esista ancora uno standard globalmente riconosciuto, come l’ISFR per i dati finanziari, non significa che la misurazione non debba essere già oggi credibile, rigorosa e accurata.

In conclusione, possiamo affermare che i valori ESG e la ricerca di un ‘purpose’ significativo e impattante sono destinati a diventare i pilastri su cui si fonderà la sostenibilità delle aziende nei prossimi anni, a partire già da oggi.

Per questo TIM Management ha ritenuto importante offrire ai suoi interim manager senior un webinar a cura della Dottoressa Patrizia Giangualano, esperta riconosciuta nel campo della sostenibilità aziendale e della misura dei valori ESG. 

Ci sembra ancora più importante mettere a fattore comune la presentazione del webinar per tutti gli imprenditori e i manager interessati a capire meglio questi temi che sono ormai diventati imprescindibili per fare impresa e che, nel nostro paese, sono ancora relativamente poco diffusi e conosciuti.

Scarica la presentazione del webinar

https://share.hsforms.com/1pl8s5t5HRxeyQLiJHaXuAw5dr51

 

Mappatura del pacchetto retributivo dei top manager del settore industriale: sorprese e conferme

La recente entrata di StrategicPeople, azienda leader nell’HeadHunting specializzata in top manager, nel gruppo di aziende di consulenza composto da TIM Management e CDI Global Italia, offre l’occasione per una riflessione sulla situazione dei pacchetti retributivi del settore industriale, uno dei più importanti e strategici per la nostra economia.

StrategicPeople, con il suo brand SalesPeople, ha maturato un’esperienza più che ventennale nell’analisi strategica di business e nella ricerca di manager apicali, sviluppando una forte partnership con multinazionali e aziende italiane, leader nei propri settori di appartenenza e tra le più rappresentative del nostro paese a livello globale.

Con i suoi pacchetti di analisi strategica StrategicPeople mette a disposizione di manager e imprenditori la profonda conoscenza maturata sulle organizzazioni e sui principali settori di mercato, in Italia e globalmente, per offrire un set di informazioni chiare e complete a supporto dei processi decisionali chiave, in particolare, quando si tratta di compiere scelte strategiche che possono condizionare i risultati e il successo futuro dell’azienda.

Il servizio di mappatura strategica è uno dei più richiesti dalle aziende partner e ha la finalità di raccogliere, identificare ed elaborare le informazioni chiave per il settore, fotografando lo scenario attuale e i trend, in una modalità totalmente custom, legata alle specifiche necessità del committente.

Si tratta sempre di informazioni ad hoc, raccolte tempestivamente sul mercato di riferimento grazie al network di StrategicPeople e alla solida e duratura relazione fiduciaria costruita negli anni con i clienti. Sono pacchetti di informazioni molto significative e, di norma, difficilmente reperibili, se non a livello macro.

Tra i servizi di mappatura strategica sono frequenti le analisi retributive, articolate per settore, funzione o ruolo, e le analisi strategiche, indispensabili per operazioni di M&A e preziose nel caso di apertura di nuovi mercati o di espansione geografica del business.

 

E’ una metodologia di lavoro consolidata che si articola in tre fasi ben distinte:

  1. Indagine: si tratta della fase di raccolta e organizzazione delle informazioni, effettuata direttamente sul mercato presso manager aziendali. L’indagine consente di fotografare lo scenario corrente, i trend e i percorsi di sviluppo praticati nel settore specifico.
  2. Mappatura: utilizzando i dati raccolti nell’indagine, si identificano le significatività e i movimenti nei mercati individuati come benchmark per fare focus in maniera verticale sul mercato specifico e sul progetto oggetto dello studio.
  3. Report: le informazioni raccolte vengono organizzate in un report completo con slide e schede di approfondimento dettagliate.

 

In questo caso ci soffermiamo su una recente mappatura retributiva focalizzata sull’industria meccanica e che ha interessato  i vertici di alcune delle più importanti realtà del settore, in particolare CEO ed AD, Board Member, CFO e Sales Director.

Ovviamente i dati raccolti sono gestiti in maniera completamente confidenziale, ma possiamo ugualmente trarre alcune informazioni interessanti e significative dall’analisi dei dati aggregati.

Innanzitutto, anche considerando la variabilità dei fatturati gestiti e della dimensione aziendale, si riscontra una grande dispersione nei livelli retributivi, in presenza di analoghe cariche ricoperte e simili livelli di responsabilità.

Ad esempio, per i Sales Director coinvolti nell’indagine si registra una retribuzione media attorno ai 120.000 euro annui a cui si va ad aggiungere, sempre mediamente, il 35% di bonus proporzionale ai risultati ottenuti. 

Ma, come dicevamo, la RAL totale, inclusi i benefit, presenta un’ampia variabilità, spaziando da un minimo che si colloca attorno alla metà della media, fino a un picco superiore alla media di quasi il 50%, in pratica la retribuzione più alta è circa tre volte superiore alla più bassa.

Sono variazioni solo parzialmente giustificate dalla dimensione dell’azienda, basti pensare che la retribuzione più alta si riscontra in una delle aziende con il fatturato più basso.

 Un’altra considerazione, molto rilevante considerando il grandissimo impatto delle vendite sui risultati aziendali, è la quasi totale assenza di forme di partecipazione agli utili o stock options che sono presenti solo in un caso su quattro, per i manager intervistati.

Molto più omogenea la situazione dei CFO dove i livelli retributivi sono molto più allineati e in due terzi dei casi, sono accompagnati da un piano importante di stock option, generalmente almeno triennale.

Nel caso degli AD / CEO torna prepotentemente a manifestarsi una grande variabilità nelle remunerazioni e nei piani di incentivazione. La media della RAL è abbondantemente superiore ai 200.000 euro annui con bonus che arrivano a valere una media del 50% della RAL base. Anche in questo caso si riscontra la stessa grande variabilità nelle remunerazioni, con un rapporto di uno a cinque tra la più bassa e la più alta delle retribuzioni.

La cosa, ancora più stupefacente se pensiamo che stiamo parlando del vertice aziendale che guida l’azienda e contribuisce in modo diretto alla formulazione della strategia e ai risultati conseguiti, è che, anche in questo caso, la partecipazione agli utili e i piani di stock options sono presenti solo nella metà dei casi esaminati.

Senza voler trarre conclusioni definitive da uno studio, certamente verticale e concentrato in un settore specifico, si può comunque concludere che nel nostro paese, in particolare nelle aziende locali, rimane relativamente poco diffusa la capacità di coinvolgere concretamente il top management nel conseguimento dei risultati aziendali e in particolare si riscontra la tendenza a mantenere una netta separazione tra la proprietà dell’azienda e il management.

Sono però evidenti i benefici che, legare in modo diretto e oggettivo i pacchetti di remunerazione dei Top Manager ai risultati aziendali, può portare all’azienda in termini di commitment ai risultati e rischio minore di perdere le risorse chiave

La situazione nei paesi anglosassoni è molto differente, basti pensare che una ricerca effettuata lo scorso anno su 3000 CEO e C-Level negli Stati Uniti mostra che circa due terzi dei top manager delle aziende con fatturato superiore a 25 milioni di dollari sono stati remunerati con piani di Stock Options e che, ancora più significativamente, anche le aziende con fatturato tra i 10 e i 25 milioni nel 50% dei casi offrono piani di stock options ai loro top executives.

Sono piani di valore significativo, mediamente rappresentano il 20% del totale della remunerazione, che si vanno a sommare a una quota importante della RAL (attorno al 40%) erogata in azioni, per le aziende quotate, anch’esse in buona parte legate alla performance aziendale.

Oltre ai tradizionali e consolidati servizi di Interim Management e Restructuring oggi TIM Management, grazie alla partnership con StrategicPeople,  società leader nell’HeadHunting in Italia, è in grado di offrire un efficace servizio di executive search alle aziende di ogni settore e dimensione.

Assistiamo i Clienti nella ricerca di dirigenti di alta direzione, di responsabili di funzione e di consiglieri di amministrazione indipendenti. 

https://www.tim-management.com/contatti/